Si chiude il cerchio. Il 2018 si avvia alla conclusione ripercorrendo quelli che sono stati gli hot topic dell’anno: volatilità, incertezza (politica e economica) e banche centrali. Queste variabili infatti le ritroviamo anche negli ultimi due mesi dell’anno, ognuna con la sua relativa importanza. Ma andiamo con ordine.
Il quadro macro-economico
L’economia mondiale sta rallentando. Questa dinamica è certificata dal Fondo Monetario Internazionale, secondo cui “i rischi al ribasso sono aumentati, suggerendo che la decelerazione della crescita potrebbe essere più veloce del previsto”.
Anche i principali dati macro pubblicati lo scorso mese confermano questo rallentamento, con i PMI dei principali Paesi sviluppati che hanno deluso le attese degli analisti. Positivo rimane l’outlook degli Stati Uniti, la cui economia può ancora beneficiare della spinta della riforma fiscale del presidente Donald Trump, destinata comunque a una prossima conclusione.
Un rallentamento alimentato anche dalle dinamiche geopolitiche circostanti. La trade war tra Stati Uniti e Cina è sicuramente l’evento più influente del 2018: a suon di sanzioni e dazi, ha contribuito a frenare il commercio mondiale. Tuttavia, in scia al G20 del 30 novembre e primo dicembre in Argentina, Trump e il presidente cinese Xi Jinping hanno concordato un “armistizio” di 90 giorni, utile a definire le basi di un futuro nuovo accordo commerciale tra le due super potenze.
In questo contesto di incertezza, le banche centrali rimangono uno degli attori principali della scena economica. Dalla Fed, che ha operato l’ultimo rialzo dei tassi dell’anno, sono arrivati sempre più segnali di minori ritocchi all’insù dei tassi per il 2019, in virtù anche del quadro economico in leggera frenata. La BCE ha invece confermato la conclusione delle operazioni del quantitative easing, ma ha anche dichiarato che il processo di reinvestimento mensile andrà avanti a lungo. E i tassi d’interesse? Non dovrebbero essere toccati fino al prossimo autunno. In Giappone, infine, la BOJ si trova ancora a combattere contro un’inflazione troppo bassa: il QE del governatore Kuroda continua.
E il quadro politico?
Nelle ultime settimane l’osservato speciale è stato il Regno Unito, con la delicata (o meglio, complicata e preoccupante) situazione intorno alla Brexit e al primo ministro Theresa May. La bozza di accordo UE-UK non è ancora passata attraverso le forche caudine del voto del Parlamento inglese: l’appuntamento in calendario il 10 e 11 dicembre, infatti, ha subito un rinvio.
Nel frattempo, la May è sopravvissuta a una mozione di sfiducia. E ora l’attesa è per il 14 gennaio, quando il Parlamento UK approverà o (più verosimilmente) boccerà la bozza di accordo raggiunta da negoziatori UE e team del primo ministro inglese. E poi? Let’s wait and see what happens.
In Europa, l’attenzione si è concentrata anche su Italia, Francia e Germania. In Italia a tenere banco è stato sempre il tira-e-molla tra Roma e Bruxelles sulla Legge di Bilancio 2019. Nelle ultime settimane, il Governo ha provato a correggere alcuni dei punti segnalati da Bruxelles per mantenere il Paese il più possibile in linea con i parametri di stabilità europei, in modo da evitare l’avvio della procedura per deficit eccessivo. Operazione per ora riuscita, ma l’Italia rimane sotto stretta osservazione.
In Francia la protesta dei gilet gialli ha rischiato di dare il colpo di grazia al consenso politico del presidente Emmanuel Macron, che ha dovuto varare su politiche sociali più espansive (portando al 3% il deficit/PIL francese previsto per il 2019). In Germania è stata scelta la nuova leader della CDU, che ha preso il posto a lungo coperto da Angela Merkel: si tratta di Annegret Kramp-Karrenbauer, una figura di continuità rispetto alla linea della cancelliera tedesca.
In vista delle elezioni europee di maggio, queste sono tutte variabili da tenere in stretta osservazione.
Infine, il quadro finanziario
Il cocktail di incertezza e rallentamento ha inevitabilmente avuto un riflesso sui mercati finanziari, dove la volatilità è rimasta alta anche nelle ultime settimane, ben sopra la media degli ultimi anni. Le piazze finanziarie dei Paesi sviluppati hanno chiuso novembre appena sopra la parità, lontane comunque dai valori di inizio anno. Stabile il mercato obbligazionario, sia sul fronte governativo che corporate, dove di rilevante segnaliamo il calo del rendimento del nostro Btp dopo le aperture del Governo alle richiesta di Bruxelles.
Tra i settori industriali, positive le performance di quelli più strettamente difensivi, al cui interno troviamo aziende meno sensibili al rallentamento del ciclo economico. Positiva ancora la dinamica del dollaro USA. Da segnalare la decisione dell’OPEC di nuovi tagli alla produzione a partire dal prossimo gennaio, in modo da frenare la caduta dell’oro nero che negli ultimi tre mesi ha perso circa il 40%.
L’andamento attuale è stato ben catturato anche dal nostro barometro del rischio mondiale, un indicatore in grado di catturare il livello di rischio sistemico del mercato. Al momento questo si trova, seppur in calo, intorno alla soglia dei 50 punti: un valore che indica una situazione di normalità.
Entrando più nel dettaglio delle singole aree geografiche, Usa e Giappone sono quelle più in salute. Maggiore debolezza invece la riscontriamo per gli Emergenti, dove la combinazione di dollaro Usa in rialzo nell’anno in corso e volatilità sulle materie prime ha fatto sentire il suo peso.
La nostra view
Dati alla mano, il rallentamento economico e la correzione dei mercati non sembrano indicare la strada di una imminente recessione. Complessivamente, le valutazioni dell’azionario sono migliorate pressoché ovunque, con le opportunità migliori che rimangono nell’Asia-Pacifico. Più debole l’Eurozona, dove i Paesi periferici sono quelli che hanno sofferto di più per le recenti incertezze.
Incertezze che mettono in luce la qualità dei titoli più difensivi, i quali hanno meglio performato in queste settimane: la rotazione dai ciclici ai difensivi è quindi nel pieno della sua corsa. Migliore qualità è da cercare anche sul segmento del credito societario, mentre sul fronte governativo i titoli statunitensi si distinguono rispetto a quelli del Vecchio Continente.
Come vanno i nostri portafogli?
attilio / Gennaio 10, 2019
come mai i megatrends hanno reso cosi’ poco -cyber security-digitalization-healthcare innovation- hanno reso molto bene -sorprendentemente(per me) roboticsn automation sono stati negativi.ma gli altri hanno abbondantemente coperto il globale.
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Redazione AdviseOnly / Autore / Febbraio 5, 2019
Ciao Attilio,
il portafoglio Megatrend è una soluzione d’investimento a carattere azionario, diversificata al suo interno tra diversi settori ma accomunati da una visione comune di lungo termine, caratteristica tipica dei Megatrend.
Di conseguenza focalizzarsi sulla performance di breve termine (sia positiva che negativa) può portare a valutazioni e considerazioni fuorvianti. Le tensioni degli ultimi mesi del 2018 hanno inevitabilmente impattato anche sulle società di questi settori: il più colpito è proprio l’ETF sulla robotica e l’intelligenza artificiale, al cui interno troviamo società come Apple e Facebook che recentemente hanno attraversato diversi momenti di debolezza.
Per il momento comunque rivolgiamo lo sguardo al lungo termine, come è giusto che sia con un investimento Megatrend.
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