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HomeUncategorized“Politici ed economisti italiani, imparate dai Peanuts”. Intervista a Matteo Motterlini

“Politici ed economisti italiani, imparate dai Peanuts”. Intervista a Matteo Motterlini

Alzi la mano chi di voi non ha mai pensato che politica ed economia siano troppo distanti dalla realtà.

La prima per eccessiva ideologia, la seconda per una fiducia senza riserve nei modelli teorici.

Per avvicinarle al mondo reale, sta prendendo piede la pratica del nudge, che prende il nome dal best-seller del 2009 degli economisti comportamentali Cass Sunstein e Richard H. Thaler. Il nudge (letteralmente: spinta gentile) è un intervento politico che vuole modificare il comportamento delle persone in modo prevedibile, indirizzandole verso un’opzione ritenuta migliore dal legislatore attraverso una modifica del contesto in cui si prendono le decisioni.

Un esempio concreto? Cambiare l’opzione di default sulla donazione di organi. Il silenzio in merito è considerato assenso. In questo modo, un Paese aumenta in modo significativo il tasso di donazione di organi. Il nudge presuppone l’approccio del paternalismo libertario, adottato in Usa, Gran Bretagna, Danimarca e Norvegia dalle nudge unit.

In Italia ancora non ce ne sono, ma si sta sviluppando un dibattito sul tema, di cui si parla anche nel nuovo libro del filosofo e neuroeconomista Matteo Motterlini, edito da Rizzoli: “La psicoeconomia di Charlie Brown. Strategie per una società più felice”. Secondo Sunstein il saggio è destinato a “ispirare una riflessione creativa sull’economia comportamentale e una nuova arte di governo anche in Italia”.

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Matteo Motterlini insegna Filosofia della scienza ed Economia cognitiva e Neuroeconomia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dirige il Cresa (Centro di ricerca di epistemologia sperimentale e applicata), collabora con “Il Sole 24 Ore” e “CorrierEconomia”.

Advise Only l’ha incontrato e gli ha chiesto in cosa consiste la psicoeconomia e perché l’Italia ne ha bisogno.

Partiamo dal titolo del suo libro: “La psicoeconomia di Charlie Brown”. Cosa c’entra Charlie Brown con l’economia?

Matteo Motterlini intervistato da Advise Only Con la leggerezza delle loro strisce, i Peanuts mostrano che non è possibile affrontare seriamente le questioni della vita se non si è disposti a giocare. Lo stesso vale per l’economia come scienza: se vuole sensatamente avere a che fare con noi, deve mettersi in gioco sperimentando con la psicologia almeno quanto con la matematica. Non sono solo i “tristi” calcoli tecnici su inflazione, tassi d’interesse, debito pubblico e disoccupazione che chiediamo alla nuova scienza economica. Ma un metodo analitico per spiegare i fenomeni che ci circondano, a partire anche dai meccanismi cognitivi che si celano dietro i comportamenti che osserviamo. Per descrivere non il mondo che vorremmo, ma il mondo come è.

 

Molti di noi infatti vorrebbero cambiarlo, ma per riuscirci bisogna prima comprenderlo. In una delle strisce di Linus, Charlie Brown è un esperto di aquiloni, capace di ragguagliare Lucy per ore sulle dimensioni della vela, sul peso ideale della struttura di legno e via discorrendo. “Sai un sacco di cose sugli aquiloni, Charlie Brown” commenta Lucy. E alla risposta di lui: “Sì, direi proprio di sì”, lei replica: “Allora perché il tuo aquilone è finito nel tombino?”.  Per evitare che il nostro aquilone finisca nel tombino, non resta che andare a controllare la validità delle nostre intuizioni teoriche là fuori, nel mondo reale. Il che vale anche per Lucy: potrà darci anche i migliori consigli da dietro il suo banco di “Psychiatric help”, ma solo la vita vissuta ci dirà se valgono quei 5 centesimi.

In cosa consiste la psicoeconomia?

La psicoeconomia cerca di fondare la teoria economica su modelli più realistici sul funzionamento della nostra mente e su come prendiamo decisioni.

Come facciamo a sapere se una “spinta gentile” funziona? In altri termini: come possiamo accertarci che determinati interventi di politica pubblica sortiscano gli effetti desiderati?

Primo, bisogna fare leva sui processi cognitivi che presiedono alle scelte e alle decisioni del cittadino.
Secondo, bisogna controllare che gli interventi che ipotizziamo essere incisivi, calati nel mondo, sortiscano l’effetto desiderato. In caso affermativo, bisogna tradurli in pratica tramite opportuni provvedimenti legislativi.

Dopotutto, chi si sentirebbe tranquillo a prendere una medicina la cui utilità non sia stata rigorosamente provata? Perché dovremmo pensarla in modo diverso rispetto alle politiche pubbliche? Anche quelle influenzano il benessere di milioni di persone e, proprio come per la ricerca clinica e farmaceutica, occorre verificare nei fatti la validità dei tipi di “trattamento” possibili. Il prodotto di questa ricerca applicata saranno politiche basate sull’evidenza e non sulla convenienza di qualcuno.

Lei parla di leggi, politica e processi cognitivi. Che ruolo ha l’economia in tutto questo?

La metodologia che propongo per gli interventi di politica pubblica ha il grande pregio di avvicinare sempre più la “scienza triste”  – così ci si riferisce abitualmente all’economia come disciplina che studia l’allocazione di risorse scarse – alle altre scienze “che funzionano”. E che consente di sottrarre la fase d’ideazione, implementazione e valutazione di tali interventi a un dibattito politico che, non solo in Italia, è troppo spesso ideologico, se non demagogico, e pertanto viziato da criteri e considerazioni che con l’efficacia poco o nulla hanno a che fare.

Come concludo nel libro, anche l’economia deve mettersi in gioco sperimentando con la psicologia almeno quanto con la matematica. Vero, sperimentare costa; ma a quanto può costarci continuare a non farlo?

All’Italia quanto costa?

Incisività politica e crescita economica sono legate: la qualità e l’efficacia delle politiche pubbliche sono la chiave della competitività dei Paesi e della loro capacità di attrarre investimenti.

In Italia possiamo dire che il contesto regolamentare in cui si muovono i cittadini, le imprese, gli investitori e la stessa pubblica amministrazione non è l’ideale per favorire flessibilità, competitività e rapidità.

Tutti se ne lamentano. Ma quando si cerca di cambiare le cose, lo si fa sulla base di preconcetti, ipotesi o, nel migliore dei casi, di dati parziali. Perché a nessuno viene in mente di commissionare studi volti a determinare quale sarà l’esito dell’uno o dell’altro intervento?

Si tratti di responsabilizzare rispetto ai beni comuni, ridurre il consumo energetico, pagare le tasse, oppure di prevenire comportamenti contro il proprio interesse personale, come mangiare troppo, fumare, eccedere con gli alcolici o giocare d’azzardo. La chiave del successo di ogni politica pubblica è prevedere correttamente il comportamento degli individui.

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Ultimi commenti
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    Condivido le idee rappresentate nella intervista del Prof. Motterlini ma temo che si sbagli, e di molto. Dice l’intervistato “chi si sentirebbe tranquillo a prendere una medicina la cui utilità non sia stata rigorosamente provata?” e da qui declina un ragionamento. Non ha il prof. Motterlini sentito mai parlare di Stamina, della cura Di Bella per il cancro, di mamma Ebe, di Vanna Marchi, ecc.?
    La realtà è che una grossa parte degli italiani non ha gli strumenti per ragionare e capire ne di economia ne di politica e quindi essi vanno a traino di chi rappresenta una ideologia populista o semplicemente ispira loro simpatia e fiducia come potrebbe essere Celentano o Grillo o Landini (ci sarà una ragione per cui sta più in televisione che in fabbrica) o qualsiasi avatar costruito attraverso la TV.

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    Gli psicologi dovrebbero dichiarare quali sono i limiti della loro disciplina (Chomsky).
    Io suggerirei di rivolgersi alla cibernetica elaborata dal linguista italiano S.Ceccato per descrivere e analizzare la nostra attività mentale, ma non certamente alle neuroscienze cognitive.. Grazie.

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