A sette mesi esatti dall’insediamento del Governo Renzi, l’Istat ha diffuso il nuovo Pil italiano, calcolato in base al sistema dei conti Sec 2010.
Facciamo il punto su cosa cambia e sulla situazione economica dell’Italia con l’economista Tito Boeri, che abbiamo intervistato a margine del convegno de lavoce.info su criminalità, crescita e corruzione. Tito Boeri è prorettore alla Ricerca e professore ordinario all’Università Bocconi di Milano, nonchè BP Centennial Professor alla London School of Economics. È anche direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento, collabora con Repubblica e ha fondato i siti lavoce.info e voxeu.org.
Ma vediamo prima le caratteristiche del Pil calcolato secondo il nuovo sistema dei conti.
Il nuovo Pil: cosa cambia in cinque punti
Il Pil calcolato secondo il sistema dei conti Sec 2010, il nuovo Sistema europeo dei conti nazionali e regionali, ha cinque differenze rispetto al vecchio Sec 95.
- Spese in R&S capitalizzate: le spese di ricerca e sviluppo sono conteggiate tra gli investimenti e quindi concorrono alla formazione del Pil. Si supera così parzialmente un limite del “vecchio Pil”: la mancata considerazione della ricerca e sviluppo.
- Inclusione delle attività illegali: questa è indubbiamente la modifica di calcolo più contestata: le stime dei proventi da prostituzione e contrabbando di droga, alcol, sigarette entrano a far parte del Pil. Questa revisione applica le linee guida di Eurostat, secondo cui il Pil deve comprendere tutte le attività che producono reddito, indipendentemente dal loro status giuridico, in applicazione del “principio di esaustività”.
- Riclassificazione della spesa per armamenti della PA: l’impatto di questa modifica è limitato, in quanto la spesa per armamenti era registrata nei consumi finali (collettivi) delle amministrazioni pubbliche e, pertanto, contribuiva già al Pil. Ora questa spesa rientra tra gli investimenti.
- Verifica del perimetro delle PA: essa ha un effetto limitato sulla spesa per consumi pubblici e sull’indebitamento netto del settore pubblico.
- Nuovo conteggio degli scambi con l’estero: è stato introdotto il criterio della proprietà economica nella definizione di importazioni ed esportazioni di beni. Questo implica che per le merci esportate all’estero e da sottoporre a lavorazione, si registra il valore del solo servizio di trasformazione e non quello dei beni scambiati.
Nuovo e “vecchio” Pil a confronto
Secondo le stime riportate dall’ISTAT, i conti pubblici sembrano migliorare leggermente ma non cambiano nella sostanza: l’Italia deve ripartire e affrontare il suo problema del debito pubblico. Ecco i dati del 2013 ricalcolati secondo il Sec 2010.
Il parere di Tito Boeri
Cosa ne pensa dell’inclusione delle attività criminali nel nuovo calcolo del Pil imposta dall’Europa?
Questo nuovo metodo di calcolo del Pil è a mio giudizio un errore. Non ha senso includere nel Pil alcune attività che non solo sono illecite, ma anche considerate indesiderabili, almeno secondo le leggi delle diverse Nazioni europee. Sono delle attività che noi dovremmo porci l’obiettivo in qualche modo di ridurre e contenere. Già l’inclusione dell’economia sommersa nel Pil poteva essere in qualche modo discutibile perché c’è un problema di base imponibile.
Molti indicatori, tra l’altro quelli dei trattati internazionali, prendono come riferimento il rapporto tra debito e Pil o tra deficit e Pil pensando che il Pil sia una misura della capacità fiscale di un Paese. Se noi includiamo nel Pil anche una parte su cui non sono pagate le tasse, aumentiamo quello che sta al denominatore (il Pil, ndr) ma non la capacità fiscale del Paese. Nel caso delle attività illegali il problema è ancora più forte, perché noi potremmo arrivare alla conclusione che è auspicabile avere una recessione (una contrazione del Pil per almeno tre trimestri consecutivi, ndr), se questa è accompagnata da una riduzione delle attività illegali.
Ma questo nuovo sistema di calcolo del Pil potrebbe essere un aiutino per i Paesi Periferici dell’Ue, in particolare per l’Italia?
Sarebbe un aiutino molto marginale. L’unico vantaggio per l’Italia è che forse non dovremmo neanche far finta di fare una manovra aggiuntiva nel 2014, però si tratta di poca cosa: circa lo 0,2% di miglioramento del rapporto deficit/Pil. Non risolve certo i nostri problemi.
Restiamo in Italia e passiamo alla politica. Sette mesi fa, il 22 febbraio 2014, si insediava Renzi. Qual è il suo bilancio del Governo dell’ex sindaco di Firenze?
Mi sembra che siano stati presi molti impegni. All’inizio c’era una pratica buona: prendere impegni e dare delle scadenze. Adesso mi sembra che il Governo abbia rinunciato allo scadenzario, perché ci si è accorti che gli impegni erano troppo ambiziosi.
Io spero che la lezione sia stata imparata: bisogna concentrarsi su alcune cose. Sin qui la priorità è stata data alle riforme istituzionali: un’operazione senz’altro importante, ma forse non prioritaria rispetto alle riforme economiche che erano davvero indispensabili. Insomma, per ora Renzi mi sembra non sia stato molto concentrato. Non mi risulta che le cose stiano migliorando sotto questo punto di vista. Però sul lavoro mi pare si voglia fare di più (il 24 settembre inizia la discussione al Senato del ddl delega di riforma del lavoro, ndr). Questo è un fatto sicuramente importante.
La Germania è additata spesso come modello da seguire, anche dallo stesso Renzi: cosa abbiamo da imparare e cosa è meglio lasciare ai tedeschi?
Dovremmo prendere spunto dalle forme di contrattazione salariale: il decentramento della contrattazione, ossia dare priorità alla contrattazione aziendale rispetto ad altri livelli sarebbe un passo avanti molto importante.
I minijob (lavori con uno stipendio massimo di 450 euro mensili per un massimo di 15 ore settimanali di lavoro, ndr) vanno discussi, ma più che questi, sarebbe meglio non importare da noi delle storture come l’articolazione delle politiche del lavoro. Prendiamo il sistema dei sussidi di disoccupazione: l’hanno riformato ma prima era altamente inefficiente. Poi la Germania ha da fare ancora molte liberalizzazioni nel mercato dei prodotti. Anche le landesbanken (le banche territoriali controllate dagli enti locali, ndr) certamente a noi non interessano.