Alla fine della calda estate del 2015 vi propongo una conversazione a tutto campo con Piergiorgio Odifreddi, matematico, logico e saggista italiano. Noto al grande pubblico per il suo anticlericalismo, l’ho intervistato per AdviseOnly sul rapporto fra gli italiani e la matematica e fra quest’ultima e l’economia, oltre che sui motivi dell’avversione ai calcoli delle donne. Uno dei quali tocca un nervo scoperto dei rapporti tra i sessi: chi è il più intelligente?
Gli italiani se la cavano male in matematica secondo l’Ocse. Come mai?
Ci sono tanti motivi. Alcuni sono culturali: la matematica, più delle altre discipline scientifiche, richiede una logica stringente, e noi viviamo in una società che per secoli è stata più rivolta verso l’umanesimo, in particolare verso l’idealismo di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, che furono entrambi ministri dell’Istruzione. Quel tipo di pensiero è l’esatto contrario del rigore logico della matematica.
Poi c’è anche una motivazione più parentale-caratteriale: eccellono in matematica soprattutto gli asiatici, che hanno un atteggiamento un po’ militare ma hanno una migliore selezione degli studenti. Le nostre scuole invece hanno un atteggiamento abbastanza lassista.
Nelle scuole italiane si insegna più la cultura umanistica che quella scientifica. Pensa sia un bene o un male?
Io credo che il problema sia più quello di essere moderni che di dividere le scuole tra umanistiche e scientifiche. Con la riforma Gentile era stato stabilito che le scuole umanistiche preparassero le classi dirigenti, che non devono sapere niente perché basta che comandino, mentre le scuole tecniche preparano i lavoratori.
Questo modello è stato superato: per esempio in USA c’è un’unica scuola superiore, con vari percorsi che gli studenti possono scegliere, come un piano studi dell’università. Il problema tra studi umanistici e scientifici si pone da noi, dove sussiste ancora una divisione verticale. Questo non funziona bene, anche perché nei licei scientifici la matematica e le scienze non hanno così tante ore in più rispetto alle materie classiche. Il ministro dell’Istruzione Gelmini provò a togliere il latino dal liceo scientifico ma la levata di scudi degli umanisti le fece fare dietrofront. Finché continuiamo a pensarla in questo modo, non andiamo lontano.
Renzi sta andando nella stessa direzione con la sua Buona Scuola. Va bene studiare storia dell’arte perché in Italia ne abbiamo parecchia, ma il fatto di averla non significa che poi troverai lavoro in quel campo.
Le donne studiano meno degli uomini le materie scientifiche all’università, soprattutto matematica, pur ottenendo risultati migliori. Perché?
Faccio notare che a livello di professore associato ci sono più donne che uomini, poi però quando si arriva ad avere le cattedre, le proporzioni si invertono.
In parte secondo me c’è un problema legato alla natura: le donne a un certo punto della vita fanno figli, quindi hanno maggiori difficoltà a conciliarli con la carriera. Non è un caso che i grandi manager o i premi Nobel sono persone senza figli o addirittura senza un partner. Purtroppo la scienza e la carriera richiedono una dedizione totale. L’uomo può farlo se c’è qualcun altro che lavora per lui in casa, ma la donna spesso non trova questo qualcuno a sostituirla. Poi ci sono altre spiegazioni politicamente scorrette da dare.
Ad esempio?
Mentre, ad esempio, non si vedono delle preclusioni nel campo femminile per la chimica, la fisica e la medicina, non ci sono molte donne nella matematica. In questo caso non si può dire che le donne sono sempre state messe da parte, perché allora dovrebbe valere anche per le altre discipline scientifiche.
C’è una teoria interessante di un gruppo di biologi secondo cui l’intelligenza media delle donne è superiore a quella degli uomini. Tuttavia, la varianza femminile è più piccola: significa che le donne hanno tutte più o meno la stessa intelligenza. Gli uomini invece hanno dei picchi di intelligenza, cui ci interessiamo, o di stupidità e malattie mentali. Questa differenza nella varianza tra i sessi è dovuta a motivi genetici: le donne hanno due cromosomi X identici, mentre gli uomini hanno un X e un Y, per cui se il primo è danneggiato, non c’è niente da fare, mentre la donna può fare affidamento sull’altro X, e questo fa sì che la sua intelligenza media sia più alta.
Mentre nella matematica c’è solo logica, nelle scienze ci sono anche aspetti più vicini alla pratica, che rende forse le donne più adatte.
L’economista Romer su Bruegel lamenta un approccio troppo quantitativo all’economia, che secondo lui si sta ricucendo a accozzaglia di parole e simboli. Cosa ne pensa dell’uso sempre maggiore della matematica nel formulare i modelli economici?
Guardando ai premi Nobel per l’Economia, consegnati dal 1969 ad oggi, si notano due tendenze diverse: l’economia umanistica e ideologica, come quella di Marx e von Hayek e l’economia più matematica.
Io ho maggiore fiducia in quest’ultima, perché è più vicina alla scienza. C’è un problema però: la scienza procede per approssimazioni successive, partendo da ipotesi molto semplificatorie. Newton inizialmente aveva ipotizzato che i pianeti fossero dei punti senza massa, ma poi la sua fisica ci ha letteralmente portati sulla Luna!
Nell’economia funziona allo stesso modo: siamo partiti da assunzioni molto semplificate e irrealistiche (gli assiomi dell’economia classica), con cui non si può governare un’economia. Ma sono convinto che un passo dopo l’altro, l’economia raggiungerà gli stessi traguardi della fisica. Ma ci vorranno due o tre secoli e soprattutto l’abolizione dall’economia dell’ideologia, che non è detto vada d’accordo con la realtà. Ad esempio, oggi in USA i consiglieri economici presidenziali presentano loro delle proposte economiche calcolate in base a delle teorie quantitative, ma poi i presidenti scelgono in maniera ideologica la proposta che più si adatta al loro elettorato.
Forse l’economia è ideologica perché usando diversi numeri, si possono dimostrare tesi contrapposte.
Questo è tipico dei numeri. Pensiamo al famoso paradosso di Simpson. Siccome chi lavora coi dati sa benissimo queste cose, scegliere un dato invece di un altro può far giungere a conclusioni diametralmente opposte. Per questo bisogna fare molta attenzione all’interpretazione dei dati.