In queste ultime ore in cui si sta profilando il massiccio intervento dello Stato nel capitale di MPS, con eventuali ripercussioni sui risparmiatori, sui mercati regna la calma. Ma il rischio contagio che fine ha fatto?
Negli ultimi sei mesi è successo di tutto: la Brexit, la vittoria di Trump, le dimissioni del governo Renzi. In tutto questo marasma, i mercati finanziari non si sono scomposti (per ora, almeno), privilegiando le azioni, i settori ciclici e il dollaro.
Con la vittoria del NO al referendum, gli anticorpi della Costituzione più “bella del mondo” si sono messi al lavoro consegnando il Governo all’ex ministro degli Esteri, ora presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Entrati nel terzo scenario dai noi ventilato, i mercati si sono subito resi conto che in buona sostanza non è cambiato nulla: lo spread BTP-Bund è tornato sui livelli di ottobre (intorno ai 150 punti base), e l’indice FTSEMIB ha guadagnato più del 17% grazie al recupero del settore finanziario.
La decisione della FED, largamente anticipata dagli analisti, di aumentare i tassi d’interesse ha riportato i rendimenti governativi americani su livelli economicamente più ragionevoli, senza generare alcun panico (…ma non si sa mai). Rispetto all’aumento attuato nel dicembre 2015, le Borse non hanno battuto ciglio, ed il mercato sembra essersi adeguato all’evidenza che la FED alzerà i tassi gradualmente. Siamo alla fine del bull market obbligazionario? Noi preferiamo rimanere cauti per almeno due ragioni:
- i rendimenti obbligazionari sono destinati a rimanere bassi rispetto alla media storica, per una serie di ragioni strutturali (invecchiamento della popolazione, politiche monetarie accomodanti, bassa produttività);
- il mondo rimane prevalentemente in eccesso di offerta (in base all’analisi del c.d “output gap”) ed il successo delle politiche fiscali di Trump si valuterà solo tra qualche anno – perciò le attese di un aumento d’inflazione sono tutte da dimostrare.
Portafogli
Ci avviciniamo a fine anno con portafogli in buona salute, affatto scarichi di rischio, ma nel complesso prudenti e ben diversificati, sia a livello settoriale che geografico. Questa strategia ha pagato, in effetti: da inizio anno le performance medie dei portafogli sono tutte ampiamente positive con Sharpe ratio e Sortino ratio (performance corretta per il rischio) prevalentemente superiori a 1, un livello d’eccellenza per questi ratios.
Che interventi abbiamo attuato ora sui nostri portafogli?
Il clima finanziario rimane favorevole agli attivi rischiosi e, siccome i rischi sistemici rimangono modesti (benché non assenti, in testa i problemi dell’eurozona e delle sue banche), abbiamo deciso di aumentare lievemente il rischio dei portafogli (al massimo del 5%), e di ridurre ulteriormente la duration (dove possibile) sul fronte obbligazionario.
Guido / Dicembre 30, 2016
Come mai i portafogli “Figli” di tipo “Reddito” hanno performance sistematicamente superiori a quelli ad accumulo a parità di orizzonte temporale?
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