La notizia, nelle ultime ore, è stata che il rendimento del titolo a 2 anni del Tesoro degli Stati Uniti d’America ha superato, seppure per poco tempo, quello del titolo a 10 anni. Ciò è avvenuto martedì 29 marzo: ed è stata la prima volta dal 2019. Il grafico sotto ce ne dà plastica dimostrazione:
Prima ancora, il quinquennale aveva superato il trentennale. Ma perché questo dovrebbe essere un problema? O, quantomeno, perché mai dovrebbe richiamare la vostra attenzione? Perché, come ci ricorda Bloomberg nella sua newsletter mattutina, “rendimenti a breve termine superiori a quelli a lungo termine sono anomali” e sono generalmente interpretati come il segno che gli investitori “sono più pessimisti circa le prospettive a lungo termine”.
Per dirla in altri termini: potrebbe esserci della recessione all’orizzonte. Ma è davvero così? Urge un veloce ripasso sul tema.
Che cos’è la curva dei rendimenti?
Vi ricordate? Forse no (ci sta), ma noi di curva dei rendimenti vi abbiamo già parlato. Di cosa parliamo quando parliamo di curva dei rendimenti? I tempi sono più che maturi per un veloce ripasso.
Allora: i titoli obbligazionari hanno una scadenza, che può essere a breve (per esempio, tre mesi) o a lungo termine (per esempio, trent’anni). Prendiamo in considerazione quindi una particolare categoria d’investimento: per esempio, i Treasury statunitensi, tipicamente molto attenzionati dal mercato perché in qualche modo considerati la spia delle attese sull’economia Usa.
Ebbene, anche i Treasury Usa hanno scadenze diverse, che vanno appunto dai tre mesi ai trent’anni. Unendo i punti che corrispondono al rendimento totale che l’investitore incassa conservando l’obbligazione fino alla scadenza e il tempo che resta prima della scadenza (la cosiddetta vita residua) si ottiene appunto la “yield curve”, o struttura a termine dei tassi d’interesse.
Non è del tutto chiaro? Facciamo un esempio
Immaginate un classico grafico: l’asse verticale rappresenta il rendimento a scadenza, quello orizzontale le varie scadenze. Si parte dalla più breve e si chiude con la più lunga.
I vari punti nell’area del grafico ci dicono dove si posiziona, per ciascuna scadenza, il rendimento a scadenza. Generalmente, il rendimento per le scadenze brevi è più basso di quello per le scadenze lunghe: unendo i punti, si ottiene così una linea inclinata positivamente. Ed è questa la situazione – diciamo così – normale.
Cosa significano le varie forme della curva?
La curva dei rendimenti può assumere tre forme:
- Inclinata positivamente: come abbiamo detto, è l’inclinazione considerata normale. In questo caso, all’aumentare della scadenza i rendimenti salgono. Ed è normale – e ci scusiamo per l’abuso del termine, ma è per capirsi – perché le obbligazioni a lungo termine sono più rischiose: l’investitore deve privarsi di una certa somma di denaro per più anni, la rinuncia è più impegnativa e le incognite maggiori, di conseguenza ciò richiede una ricompensa (il cosiddetto “premio”) tanto più sostanziosa quanto più lunga è la scadenza.
- Piatta: i tassi a breve corrispondono a quelli a lungo termine. Una curva del genere indica solitamente una transizione in corso verso un’inclinazione positiva o negativa.
- Inclinata negativamente: più sale la scadenza, più scende il rendimento. Ed è esattamente questa la situazione che, come dice Bloomberg, di solito viene letta come sintomo del prevalente pessimismo, presso gli investitori, circa le prospettive economiche.
Non solo forma: attenzione anche all’“altezza”
Oltre alla forma, come vi abbiamo spiegato in altre occasioni, si tende a guardare anche a che “altezza” (o, per meglio dire, livello) si colloca la curva nel grafico: quanto, cioè, sono alti o bassi i rendimenti associati alle varie scadenze.
Il livello della curva e suoi spostamenti possono riflettere le scelte di politica monetaria delle banche centrali. Per esempio, la politica espansiva messa in atto dalla Federal Reserve dopo il 2008 ha contribuito a spostare verso il basso la curva dei rendimenti, riducendo i tassi d’interesse sulle varie scadenze.
Ma torniamo all’inclinazione della curva. A condizionarla sono essenzialmente:
- i premi per il rischio, che gli investitori richiedono per investire in obbligazioni a lungo termine rispetto a quelle a breve termine;
- le attese degli investitori sui tassi d’interesse, le quali a loro volta riflettono ciò che il mercato si aspetta riguardo alla tendenza dei prezzi, all’andamento dell’economia e al comportamento della banca centrale.
Tutto ciò detto, come va letto il movimento di martedì 29 marzo?
Curva dei rendimenti: gli investitori sono più pessimisti?
“Ogni recessione è preceduta da inversione di curva, ma non tutte le inversioni di curva hanno poi portato a una recessione”, twittava la mattina di mercoledì 30 marzo Alieno Gentile, utente molto seguito sui temi di economia e finanza e precedentemente noto con il nickname Bimbo Alieno. Per completezza, agevoliamo screenshot.
C’è pessimismo nell’aria? E, soprattutto, c’è della recessione all’orizzonte? Giriamo la domanda a Bloomberg ed è la newsletter mattutina a risponderci indirettamente.
“Non così in fretta. Il gigante delle obbligazioni Pimco dice che queste preoccupazioni possono essere premature”.
E secondo Erin Browne, gestore di fondi presso Pimco, citato appunto da Bloomberg, “stavolta l’inversione della curva dei rendimenti potrebbe non essere un buon indicatore come lo è stato in passato, in particolare data l’enorme quantità di quantitative easing intrapreso dalle banche centrali globali”.
Non ci resta che aspettare e stare a vedere.