In vari articoli di questo Blog si è parlato di tassi d’interesse e rendimenti obbligazionari: in uno di questi post (vai al post), si è detto che i rendimenti nominali a medio-lungo termine possono essere approssimativamente scomposti in tre costituenti:
rendimento nominale = rendimento reale (cioè corretto per l’inflazione)
+ tasso d’inflazione attesa
+ remunerazione per il rischio che il debitore non paghi
Ora, vedere com’è cambiata negli anni la composizione dei rendimenti dei titoli di Stato italiani, utilizzando le informazioni che ci offrono i mercati finanziari (dove le ultime due componenti del rendimento nominale possono essere osservate direttamente), può essere un’esperienza istruttiva per un risparmiatore. E allora ecco la storia dei tassi d’interesse nominali lordi pagati dallo Stato, “spaccati” nei tre costituenti principali (cliccare sul grafico per ingrandirlo).
Fonte: elaborazioni Il Blog Advise Only su Dati Thomson Reuters. Inflazione attesa stimata tramite i tassi impliciti nelle obbligazioni inflation-linked. Remunerazione del rischio di default stimata tramite le quotazioni dei credit default swaps. Tassi reali ottenuti per differenza tra i tassi nominali lordi e le altre due componenti.
Che cosa è cambiato? Il tasso d’interesse reale, che dovrebbe essere in linea con la crescita economica reale, è diminuito (segno che i mercati non sono ottimisti sulle prospettive economiche del Bel Paese). L’inflazione attesa non è cambiata granché, riducendosi lievemente. La cosa veramente notevole è che la remunerazione per il rischio di default dell’Italia è decisamente cresciuta: nel biennio 2006-2007 era praticamente nulla e ora corrisponde a 1/3 circa del rendimento obbligazionario nominale. Insomma, con la “crisi dell’area Euro”, i mercati finanziari temono che l’Italia possa non fare fronte ai suoi debiti. Quindi si fanno pagare oltre l’1.5% d’interesse all’anno in più per questo rischio. Questo “pensano” i mercati.