Il grafico, tratto da una ricerca della BOJ, la Banca centrale del Giappone, mette in luce le preferenze negli investimenti delle famiglie sulle due sponde dell’atlantico ed in Giappone. Si tratta delle percentuali delle diverse classi di attività finanziarie sul totale del portafoglio investito.
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Appare chiaro che in Europa l’investimento azionario sia ancora residuale, pari a meno della metà degli investimenti delle famiglie americane (peraltro storicamente più propense ad investire in azioni), mentre in Giappone è praticamente inesistente.
Netta la preferenza degli Europei a detenere conti valutari e depositi bancari; questo ci accomuna molto al Giappone in termini di bassa propensione al rischio, ma speriamo non sia un segnale di “convergenza” della nostra economia verso quella nipponica. Interessante inoltre la quota di obbligazioni: nonostante ciò che si crede, i risparmiatori di Stati Uniti ed Europa sono molto vicini nelle quote di obbligazioni detenute in portafoglio, con qualche punto percentuale in più negli Usa, mentre in Giappone la quota delle obbligazioni è la più bassa tra tutte le attività finanziarie.
Il grafico può avere anche un’altra lettura ed aiutarci nell’analisi dell’efficacia delle politiche monetarie non convenzionali delle Banche Centrali.
Il QE (Quantitative Easing) americano volto nelle parole dello stesso Governatore della Fed, Ben Bernanke, a supportare i mercati finanziari, trova una delle sue giustificazioni nell’allocazione delle disponibilità finanziarie delle famiglie. Una ripresa delle quotazioni di Borsa può (teoricamente) avere un impatto positivo sui bilanci delle famiglie statunitensi e trasformarsi in consumo (è il cosiddetto wealth effect). Ciò a patto che il maggior reddito delle famiglie non si traduca in risparmio, cosa che sta accadendo negli Stati Uniti.
Minore la possibilità di sperare in un “effetto ricchezza” per la Banca Centrale Europea e per la BOJ.