Ok, abbiamo capito: secondo la Federal Reserve – l’autorità monetaria degli Stati Uniti d’America – qualunque rialzo dell’inflazione determinato dall’incipiente ripresa economica sarà transitorio. I funzionari Fed ci credono perché le attese di inflazione sono “ben ancorate”. Ma l’Università del Michigan ci rivela che i consumatori sono di tutt’altro avviso. Vediamo perché.
Quel certo indice dell’Università del Michigan
Cominciamo col dire che il Consumer Sentiment Index – o indice del sentiment dei consumatori – rilevato dall’Università del Michigan è un indice pubblicato a cadenza mensile.
È normalizzato a 100, assumendo come punto di partenza il valore del dicembre del 1966. Si basa su 500 interviste telefoniche effettuate mensilmente su un campione di consumatori degli Stati Uniti. Un suo sottoindice – vale a dire l’indice delle aspettative dei consumatori – va a confluire nel Leading Indicator Composite Index pubblicato dal Bureau of Economic Analysis del Dipartimento statunitense del Commercio.
Cosa ci dice, oggi, l’indice dell’Università del Michigan?
Il rapporto diffuso la scorsa settimana segnala che le aspettative a 5 anni sul rialzo annuo dell’inflazione sono balzate dal +2,7% al +3,1% e che oggi ci si aspetta che fra 12 mesi la variazione anno su anno dell’inflazione negli States sarà non più del +3,4%, come indicato in precedenza, ma del +4,6%. Come, del resto, è sintetizzato nel grafico sotto riportato.
Ciò riflette i movimenti delle attese d’inflazione del mercato: basti pensare che i tassi impliciti nelle quotazioni dei titoli TIPS (Treasury Inflation Protected Securities) a 10 anni sono aumentati dal 2% di inizio anno al 2,52% attuale, mentre per i 2 anni sono passati dal 2% al 2,8%.
Ai consumatori tutto ciò non è passato inosservato, e questo spiega perché il sentiment generale sia sceso a 82,8 punti dai precedenti 88,3, a fronte di un consenso che posizionava il dato a 90 punti. In barba ai dati sulla crescita e sul recupero del mercato del lavoro. Anzi, forse proprio alla luce di questi dati. Perché appunto ci si aspetta che a valle della ripresa ci sarà un incremento dei prezzi dei beni e dei servizi.
Possibile una parziale inversion, ma non un ritracciamento
“È possibile”, scrive James Knightley, chief international economist presso Ing, “che la recente interruzione dell’oleodotto Colonial e i timori sulla carenza di benzina e sui prezzi più alti abbiano giocato un ruolo. Di conseguenza, riconosciamo il potenziale per una parziale inversione il mese prossimo. Ma”, aggiunge, “dubitiamo che si verificherà un ritracciamento completo”.
A questo punto, conclude, i funzionari della Federal Reserve dovrebbero almeno prendere atto dell’emergere di aspettative di prezzi al consumo nettamente più elevati. Staremo a vedere.