Sintesi brevissima delle puntate precedenti. Dopo la riunione del 21 e 22 marzo, la Federal Reserve ha aumentato i tassi d’interesse per la nona volta di fila, indicando che potrebbero esserci ulteriori rialzi in futuro. Ma si è trattenuta: si è trattato infatti di un incremento di soli 25 punti base.
Il Federal Open Market Committee ha votato all’unanimità per incrementare di un quarto di punto percentuale l’obiettivo del tasso sui Federal Funds, portandolo a un intervallo compreso tra il 4,75% e il 5%, il più alto dal settembre del 2007, quando i tassi erano al loro massimo, alla vigilia della crisi finanziaria.
Tra le righe, l’idea che le recenti turbolenze bancarie, pur rallentando l’economia, non si tramuteranno in un più ampio crollo finanziario.
Federal Reserve: più falco o più colomba?
“Gli operatori hanno inizialmente faticato a decidere se il rialzo della Fed e la forward guidance fossero o meno da falco”, commenta oggi Eddie van der Walt, Deputy Managing Editor con base a Londra, nella newsletter mattutina di Bloomberg. Le reazioni inizialmente dovish si sono affievolite, scrive, poi hanno ripreso forza, poi si sono affievolite di nuovo. Unica eccezione, il dollaro.
“Il biglietto verde è sceso rispetto a tutti i suoi omologhi, con un calo dell’1,3% rispetto all’euro nelle prime ore dopo la decisione”. Unico dato evidente, secondo van der Walt, è che la posizione della Fed è diventata dovish (morbida, da colomba, ndr) rispetto a quella dei suoi omologhi, in particolare la Banca centrale europea.
Il vero falco ora è la Bce: con quali conseguenze?
La banca centrale dell’Eurozona ha assunto un tono molto più combattivo sull’inflazione. Mercoledì, la presidente Christine Lagarde ha dichiarato: “Riportare l’inflazione al 2% nel medio termine non è negoziabile”. E ha aggiunto: “Lo faremo seguendo una strategia solida che dipende dai dati e che prevede la disponibilità ad agire, ma che non prevede compromessi con il nostro obiettivo primario”.
Powell, dal canto suo, ha dichiarato che i responsabili politici hanno preso in considerazione una pausa nella loro campagna di rialzo dei tassi di interesse alla luce delle turbolenze bancarie, ma il consenso per un aumento è consistente.
Al momento “il risultato è che un euro più forte agisce come forza disinflazionistica, in quanto abbassa il costo delle importazioni di beni e servizi, cosa che la Banca centrale europea accoglierà con favore”, conclude van der Walt.