Negli ultimi mesi si è parlato tanto, forse troppo, di quelli che sono oramai fattori di rischio “evergreen”: Brexit e Trade War. Due tematiche sì finanziarie, ma anche politiche, che stanno accompagnando gli investitori da parecchi mesi e che continueranno a farlo per parecchio tempo.
Tuttavia, nelle ultime settimane, gli animi si sono scaldati in scia a nuovi focolai di rischio: Argentina, Italia e lo spauracchio della recessione nei Paesi Sviluppati, Germania in primis.
Capitolo Argentina
In Argentina, il debole risultato ottenuto dall’attuale Presidente Mauricio Macrì alle primarie presidenziali in vista delle elezioni del prossimo 27 ottobre ha portato volatilità sui mercati emergenti. Nel giorno successivo alle elezioni, la Borsa di Buenos Aires ha chiuso in calo del 38% e il peso argentino è calato del 15% contro il dollaro Usa.
Per un paese che solo da pochi mesi era tornato “attivo” sui mercati (riammesso nell’indice azionario dei Paesi Emergenti lo scorso maggio e tornato sul mercato dei titoli di Stato da soli tre anni), si tratta di un colpo pesante, ben tangibile nell’andamento del CDS a cinque anni del Paese, contratto di assicurazione utile a fornire una prima stima sulla probabilità di default di uno Stato Sovrano. Nelle ultime settimane la probabilità di default stimata dal CDS è salita fino all’80%.
Capitolo Italia
L’Italia invece? Come sappiamo, le incertezze politiche del nostro Paese sono esplose nelle ultime settimane, portando nei giorni scorsi alle dimissioni del Governo guidato da Giuseppe Conte. Con ancora da approvare la nota di aggiornamento del DEF (27 settembre) e con l’importante scadenza per l’invio della bozza del legge di bilancio del 2020 alla Commissione Europea (15 ottobre), i punti interrogativi sul tavolo sono tanti e l’incertezza aumenta.
Non per i mercati però: nonostante momenti di volatilità allo scoppio della crisi di Governo, Piazza Affari ora sta correggendo al rialzo: + 4,6% nell’ultima settimana. Discorso analogo per il nostro BTP il cui rendimento è calato ai minimi dal 2016 e ora viaggia sull’1,3%. E i CDS? Seppur rimangono tra i più alti del Vecchio Continente dopo la Grecia, il loro valore è in linea con la media dell’ultimo anno.
Capitolo Germania
Capitolo Germania. La “Locomotiva d’Europa” pare abbia finito la benzina. L’industria continua a rallentare, come mostrano i dati degli indici PMI e il valore del PIL del secondo trimestre ha chiuso in negativo (-0,1% rispetto al trimestre precedente) e la banca centrale tedesca si aspetta un ulteriore calo per il prossimo, il che significherebbe recessione tecnica. Le tensioni commerciali, i timori di una Brexit disordinata e i dati negativi dal mercato automobilistico stanno frenando la prima economia d’Europa.
Per ultimo, vogliamo sottolineare un aspetto forse non troppo “mainstream”, ma di indubbia importanza. La situazione di Deutsche Bank, dopo il fallito tentativo di fusione con Commerzbank, sembra essere sempre più fragile. Negli ultimi cinque anni il titolo sulla piazza di Francoforte ha perso circa il 70% del suo valore e i dati delle ultime trimestrali continuano a segnalare perdite importanti per il principale istituto bancario tedesco.
Per quanto siamo di fronte ad una “too big to fail”, i rischi di un ulteriore deterioramento e contagio nel resto dell’Eurozona non sono da sottovalutare.
E quindi?
Per quanto riguarda l’Argentina è importante sottolineare che si tratta di una realtà relativamente piccola e circoscritta. I problemi del Paese non sono certo uno novità degli ultimi mesi, ragion per cui riteniamo essere un fattore di rischio “contenuto”.
Analogo discorso per l’Italia, che naviga nell’incertezza politica (ed economica) da parecchio tempo. Lo scudo protettivo della BCE sembra essere nuovamente prossimo al lancio e questo dovrebbe bastare per garantire una continua domanda di titoli di Stato e tenere così sotto controllo il rendimento, almeno nel breve termine.
Diversa, e più preoccupante, la situazione in Germania. Se il motore economico dell’Europa inizia a rallentare, gli effetti a cascata per i paesi vicini non tarderanno a farsi sentire. Aggiungendo a questo “punto debole” la delicata posizione di Deutsche Bank, emerge con chiarezza come questo può essere un vero e allarmante focolaio di rischio, che sarà necessario monitorare nei mesi a venire.