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Grafico della settimana: deflazione tech e digital disruption

costo della tecnologia in calo fintech

La “digital disruption” travolge il settore finanziario come uno tsunami. Ma perché proprio ora? Perché con questa intensità? Basta un grafico per spiegare (quasi) tutto.


La tecnologia corre in Borsa come un levriero. E nel mondo finanziario e bancario gli argomenti più hot sono Fintech, Big Data, Machine Learning, Intelligenza Artificiale, BlockChain e Data Science. Roba così. E anche in altri settori la storia è simile.

Se vi chiedete il perché, di tale fermento, la ragione fondamentale è tutta qui, in questo semplice grafico:
 

“Vecchia tecnologia”, nuove applicazioni

Il calo dei costi legati a raccolta, conservazione, gestione, masticazione e analisi dei dati (con ogni modalità concepibile) è la ragione fondamentale per cui la tecnologia imperversa in tutti i settori della nostra vita. L’innovazione di metodo degli ultimi dieci anni è stata relativamente poca: per esempio, molti dei metodi legati a Machine Learning e Intelligenza Artificiale risalgono a diversi decenni fa.

Certo, ci sono stati alcuni avanzamenti metodologici, ma l’innovazione in termini di idee non è poi così straordinaria – per dire, le reti neurali c’erano anche vent’anni fa. Il punto è invero molto più semplice: la tecnologia costa sempre meno. Sicché i prodotti ad essa legati (sia software, che hardware) e i corrispondenti servizi migliorano. Tutto qui. È la digital disruption, gente.

E i risultati in Borsa si vedono: negli ultimi 5 anni l’indice MSCI World Information Tecnology ha reso – parliamo di total return, ovviamente – il 185,1% (pagando anche un decente dividendo), mentre il paniere di azioni mondiali del MSCI World ha reso il 100,5%: bellissimo numero, ma è circa la metà… Analizzando la performance a dieci anni i risultati sono analoghi (+227,5% l’indice tecnologico, +108,8% quello generale). Questi numeri la dicono lunga.

Ritardo all’italiana

Vi regalo una chicca: l’indice di Borsa italiano, l’MSCI Italy, negli ultimi cinque anni ha invece reso il 63,1% (ndr: -17,9% a dieci anni). La performance quinquennale è dunque circa un terzo di quella del paniere mondiale di azioni tecnologiche – quella decennale non la commento nemmeno. Ora, chiedetevi un po’ se ciò potrebbe dipendere (anche) dal fatto che l’Italia spende pochissimo in ricerca e sviluppo da decenni e, quindi, innova poco.


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Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

Ultimo commento
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    È incredibile, guardando il grafico dei CPI, verrebbe da pensare che le aziende tecnologiche siano proprio quelle dalle quali stare lontani come investimento, visto che competono in un mercato dove non deve essere facilissimo fare utili se i prezzi dei prodotti che vendi continuano a calare di anno in anno.
    E invece si rivelano essere state l’investimento migliore a 5 e pure 10 anni.

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