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Una crescita globale sostenibile è possibile?

Se non avete passato gli ultimi 15 anni su un’isola deserta o su una qualche vetta montuosa, certamente avrete notato “qualche immenso cambiamento” nel mondo. Il sogno americano era, appunto, un sogno; i Paesi in via di sviluppo sono ormai “in via di sorpasso”.

Dalla fine degli Accordi di Bretton Woods del 1971, si sono affermati due squilibri:

  1. il forte avanzo (esportazione maggiori delle importazioni) dei Paesi che esportano petrolio (Medio Oriente) ;
  2. il crescente disavanzo (esportazioni minori delle importazioni) degli  Stati Uniti.

Tali fattori hanno generato delle persistenti sproporzioni nei pagamenti internazionali tra le diverse aree del globo, i c.d. global imbalances. Negli ultimi tre lustri, sulla scena del commercio mondiale, sono emerse le economie asiatiche (India, Cina, Sud-Est asiatico) con modelli di sviluppo improntati alle esportazioni e che vedevano come cliente preferenziale gli Stati Uniti, “locomotiva” della crescita mondiale.

Il commercio mondiale è cresciuto a tassi sempre più elevati e, allo stesso modo, è cresciuto il reddito pro capite dei Paesi esportatori netti, che hanno avuto modo di accumulare riserve valutarie per effetto del pagamento in dollari; tale situazione ha consentito a molte economie emergenti di non subire i recenti shock finanziari della globalizzazione, come invece è accaduto ai Paesi sviluppati.

Per un decennio il meccanismo sembrava funzionare…… Poi i cigni neri, l’”imponderabile”: lo scoppio della crisi dei mutui sub-prime e la crisi dei debiti sovrani.

Improvvisamente si scopre che molti Paesi sviluppati (Stati Uniti in testa) hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità consumando ed indebitandosi nei confronti dell’estero, mentre i Paesi emergenti (ad es. la Cina), al contrario, sono stati in grado di soddisfare l’eccesso di domanda occidentale con la loro produzione a basso costo collocandosi in una posizione di accumulatori di risparmio. Si è trattato dunque di squilibri interni (tipo l’eccesso di spesa) che si sono riflessi in squilibri esterni, tra Paesi.

Sebbene il sistema valutario con Bretton Woods si sia retto su un sistema di cambi fluttuanti, l’aggiustamento che ne doveva derivare nel lungo periodo (svalutazione reale per il dollaro e rivalutazione reale per lo yuan e l’euro) è stato insufficiente e talvolta addirittura contrario alla teoria economica classica. Inoltre bisogna aggiungere che anche gli interventi di politica economica non sono andati nella giusta direzione. La Cina ha mantenuto un tasso di cambio yuan-dollaro fisso (troppo basso, tra l’altro) rendendo così a buon mercato le sue merci sui mercati internazionali, mentre la BCE e la FED si sono poco preoccupate, nella conduzione della loro politica monetaria, del tasso di cambio.

Bisogna poi ricordare che la svalutazione è solo uno dei fattori per riequilibrare i rapporti commerciali tra due Paesi, l’altro è il bilanciamento delle risorse interne (domanda ed offerta), troppo a lungo ignorato.

Date l’attuale situazione di crisi che si è generata in questo contesto, viene da chiedersi a che punto è il cammino verso il nuovo equilibrio globale che dovrebbe condurre, secondo alcuni, ad una crescita di lungo periodo sostenibile.

Guardando i dati globali, in linea generale possiamo dire che:

  1. lo scenario economico migliora lentamente, ma è ancora molto fragile
  2. i miglioramenti degli squilibri dei pagamenti internazionali tra le aree del globo sono modesti e non consolidati
  3. aumenta il grado d’indebitamento complessivo delle economie avanzate ad eccezione degli Stati Uniti, che secondo un rapporto McKinsey hanno registrato un calo nel periodo 2008-2011 di 16 punti percentuali;
  4. rallentano i tassi di crescita delle economia emergenti: Brasile, India, Russia e Cina.


Focalizzandoci sul terzo punto possiamo dire che, se precedentemente alla crisi dei mutui subprime tra i 34 paesi OCSE solo tre Paesi presentavano un rapporto debito pubblico/PIL molto elevato (prossimo o superiore alle tre cifre), nel 2011 il numero dei Paesi è salito a nove! Inoltre, il livello d’indebitamento delle diverse economie (somma del settore pubblico e privato) è aumentato sensibilmente tra il 2000 ed il 2008 in Europa, ma anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti.

Infine sul tema della crescita economica dei Paesi emergenti le attese per Brasile, Russia, India e Cina  sono di continua crescita nel medio lungo periodo, nonostante i segni di rallentamento (i tassi di crescita rimangono comunque alti rispetto agli standard europei) dovuti a difficoltà strutturali interne.

Cina e Brasile sembrano  affrontare le difficoltà con determinazione, l’India sembra più incerta mentre la Russia non sembra essere in grado per ostacoli di natura politica. Tuttavia, viste le capacità di sviluppo di tali Paesi e i loro vantaggi in termini di grandi riserve valutarie, finanze pubbliche in ordine e conti con l’estero positivi, si può essere ragionevolmente ottimisti sul perseguimento di un ulteriore sviluppo in futuro.

In conclusione, possiamo dire che questo periodo di transizione sarà ancora lungo, la strada verso una crescita economica globale sostenibile ed equilibrata è ancora lontana, purtroppo.

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