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“Too-Big-To-Fail”? Oppure le banche fanno troppi affari insieme?

Il problema dei big della finanza mondiale e, quindi, dei mercati e delle difficili politiche di regolamentazione non è solo che questi big sono “troppo grandi per fallire” e, di conseguenza, non hanno incentivi ad adottare pratiche responsabili, incorrono in eccessive tentazioni morali (di cui si è parlato qui) e perseguono strategie d’investimento eccessivamente rischiose, facendo pagare il conto ad altri. Il problema è che fanno troppi affari assieme e detengono un’eccessiva quota del totale delle transazioni che innervano i mercati globali. Si direbbe quindi che siano eccessivamente connesse, della quale si era già discusso in questo post qualche mese fa su nostro blog.

Dove sta il problema?

Consideriamo i mercati come reti di nodi (le banche ed altre istituzioni finanziarie, cioè i player sul mercato) e pensiamo agli investimenti comuni e le quote proprietarie intrecciate come le connessioni che caratterizzano i rapporti fra questi nodi.

L’eccessiva connessione fra un ristretto numero di big player è fonte di rischio sistemico per due motivi:

  1. causa un’eccessiva vulnerabilità dei mercati rispetto a shock (ad es: fallimenti), ovunque essi si manifestino, dato che nodi fortemente connessi tendono a propagare ogni shock;
  2. rafforza la tendenza al “group-thinking” e all’adozione di paradigmi, approcci e pratiche simili impedendo al mercato di svolgere una delle sue più autentiche funzioni sociali, oltre che economiche cioè di  costituire un aggregatore efficiente di conoscenza dispersa, grazie all’esplorazione e alla competizione fra approcci, strategie ed idee di business differenti – se non vi è esplorazione da parte dei soggetti, non v’è apprendimento e dunque non v’è mercato.

 

Qui non toccheremo il secondo punto, che ci porterebbe a considerare i mercati finanziari come “non-mercati”, ma sul primo punto segnalo un recente articolo pubblicato su Nature, da Stefano Battiston, un brillante ricercatore italiano che lavora all’ETH di Zurigo e colleghi (DebtRank: Too Central To Fail? Financial Networks, the FED and Systemic Risk).

Nell’articolo è presentato un interessante indicatore di misura del rischio di default sistemico di un mercato, che grosso modo segue l’impostazione del famoso PageRank di Google. Tale indicatore è stato testato su un campione estrapolato dal noto piano di emergenza di 1.2 trilioni di dollari lanciato dalla FED (dati 2008-2010, incluse tutte le istituzioni finanziarie che hanno avuto accesso a tale fondo).

Misurando le interconnessioni fra gli investimenti delle società coinvolte nel piano e la centralità dei vari nodi per il sistema stesso, questi colleghi hanno trovato che 22 big player sono fortemente connessi fra loro (tra cui Deutsche Bank, Barclays, Merrill Lynch e Unicredit) e che alcuni dei nodi di questo gruppo sono (e potrebbero essere) generatori di rischio sistemico. Inoltre, i risultati di alcuni esperimenti di simulazione mostrano che, in una struttura di mercato del genere, uno shock originato da qualsiasi player, anche un player non dei più centrali, avrebbe una probabilità altissima di trasformarsi in shock sistemico, amplificato dalle connessioni tra i big player stessi. Chiaramente, non è detto che tutti i mercati reali abbiano una struttura del genere, ma vi sono fondate ragioni per pensare che i mercati finanziari oggi siano così.

 

Cosa ci insegna questo articolo?

Primo, esso ci insegna a vedere il mercato come una struttura di rete, da cui la conclusione che non contano solo le decisioni e le strategie d’investimento dei singoli player o investitori, ma anche la struttura delle loro interconnessioni.

Secondo, esso indica che questi tipi di strutture possono essere fonti di rischio sistemico. In sostanza, se pensiamo all’analogia mercato/internet o sistemi peer-to-peer, è come se l’80% delle connessioni fra utenti internet o fra computer in una rete peer-to-peer (tipo sistemi di file sharing, e-mule, torrent etc.) ruotassero attorno ad un ristretto numero di macchine e server. Un intoppo in una di queste (ad es: lo spegnimento causato da una qualche autorità) significherebbe il crollo dell’intero sistema. La robustezza di Internet e dei sistemi peer-to-peer contro attacchi e shock (non solo hacker, pensiamo a gruppi terroristici, autorità di regolazione o a problemi infrastrutturali) sta nel loro essersi sviluppati secondo meccanismi di intelligenza e capacità altamente distribuite.

 

In sostanza, questo articolo ci offre lo spunto per pensare che i mercati finanziari non tendano a tale robustezza proprio perché non hanno una vera struttura distribuita. Insomma, oltre al “too big to fail”, qui il problema è capire come favorire una concentrazione minore di interessi, investimenti e transazioni fra un numero ristretto di soggetti. Le due cose un po’ si tengono, chiaramente, ma il secondo punto è da considerare con attenzione. I mercati sono sistemi complessi e, in tal senso, altamente imprevedibili, proprio per la complessa rete d’interazione che li caratterizza.

Infine, tra parentesi, segnalo che sarebbe interessante esplorare l’idea di utilizzare il DebtRank proposto in questo articoli come strumento operativo per creare scenari d’investimento informati dal grado di rischio sistemico entro cui si opera. Chissà, magari consentirebbe ad operatori istituzionali davvero “responsabili” e alle società di consulenza di sconsigliare investimenti e prodotti offerti da società causa di rischio sistemico.

Coraggio, il cambiamento può iniziare anche da questo.

 

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