Il disagio sociale in Italia si è leggermente attenuato.
Lo rileva la Confcommercio, che oggi ha stimato il MIC (Misery index di Confcommercio). Il dato di maggio è pari a 21,5: in leggero calo rispetto al record storico di 21,9 punti, raggiunto nel gennaio 2014.
Questo vuol dire che la situazione sta migliorando?
Il livello di malessere rimane elevato e dietro questi numeri si nasconde un problema. Per capire dove si annida, facciamo un passo indietro e torniamo alla crisi finanziaria del 2008.
Il disagio sociale in Italia dalla crisi del 2008 a oggi
Il disagio sociale è misurato dall’indice di malessere di Okun (noto anche come Misery index). Si tratta di un semplice indicatore dato dalla somma del tasso d’inflazione e di disoccupazione, utilizzato per misurare il malessere di una nazione, e farsi un’idea dell’evoluzione della situazione economica in un Paese o confrontarla con quella di altri (ne abbiamo già parlato qui e qui).
Un aumento di questo indice, a causa di un maggior tasso d’inflazione e/o disoccupazione, equivale a un aumento del malessere per la società nel suo complesso. Viceversa nel caso opposto. Tuttavia, la realtà italiana (ma non solo) rappresenta un tipico caso-scuola dei limiti di questo indicatore:
- l’indicatore attribuisce lo stesso peso alla disoccupazione e all’inflazione;
- non tiene in considerazione la situazione di partenza delle diverse economie.
Ricordiamo che il Misery index calcolato da Confcommercio – il MIC – non assegna gli stessi pesi a inflazione e disoccupazione: la prima vale 1,2647 e la seconda 0,7353.
Barattereste la disoccupazione con l’inflazione?
Proviamo a spiegarci in altri termini: secondo voi, nell’attuale situazione, un aumento dell’1% della disoccupazione vale quanto l’aumento dell’1% dei prezzi?
Considerate due diverse situazioni di partenza della nostra economia, riassunte dal grafico sotto.
Ritenete che gli italiani sarebbero disposti a sostituire allo stesso modo incrementi dell’inflazione in cambio di un contestuale calo della disoccupazione?
Ovviamente la risposta è “no”. Tuttavia, nonostante queste critiche, l’indicatore di Okun rimane uno strumento utilizzato per misurare lo stato di malessere/benessere dei paesi.
Ora consideriamo l’andamento della curva del Misery index per l’Italia, dall’anno della Grande Recessione (2008).
Il grafico sotto mostra un aumento dello stato di malessere della famiglie italiane. Il tasso di disoccupazione è salito mentre l’inflazione è scesa senza un pieno effetto compensativo tra i due “mali”. Negli ultimi mesi, il tasso di disoccupazione si è mantenuto stabile mentre il tasso d’inflazione è diminuito determinando una riduzione dell’indicatore di disagio sociale. Una ragione per tornare a sorridere? Solo all’apparenza.
Perché il calo del Misery index è una brutta notizia
Dietro il calo del Misery index si cela lo spettro della deflazione. Essa aumenta il rischio di cadere nella trappola della liquidità: una situazione di tassi d’interesse a zero, deflazione e aspettative di bassa inflazione o addirittura di deflazione, come ci insegna l’esperienza del Giappone.
La deflazione implica un aumento del valore reale del debito di famiglie e imprese. Nello stesso tempo la deflazione significa, per determinati livelli dei salari monetari, maggiori salari in termini reali (di quanto previsto se il livello dei prezzi è inferiore a quello atteso). L’aumento del costo reale del lavoro comporta:
- la riduzione della domanda di lavoro da parte delle imprese;
- la perdita di posti di lavoro per molte persone che non hanno lavori sicuri.
La bassa inflazione e deflazione hanno così enormi effetti negativi sul benessere dei cittadini.
Quale pericolo corriamo?
Il modo migliore per rispondere è utilizzare le parole dell’economista P.Krugman nel 1998 in “The euro: beware of what you wish for”:
Il pericolo immediato ed evidente è che l’Europa diventi giapponese: che scivoli inesorabilmente nella deflazione, e che quando i banchieri centrali alla fine decideranno di allentare la tensione (con misure di stimolo all’economia, ndr) sarà troppo tardi
Bulgaro / Luglio 9, 2014
Ma il Giappone ha sempre avuto un tasso di disoccupazione infimo.
E poi perche’ la BCE quando interviene sara’ troppo tardi?
Cosa cambia se la BCE mette in pratica un QE in ritardo?
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Pasquale Rossi / Luglio 10, 2014
La trappola della liquidità è una brutta bestia, la recessione giapponese di fine secolo è un esempio. A metà degli anni ’90, il Paese introdusse tardivamente ed in maniera poco incisiva politiche economiche espansive non riuscendo ad uscire dalla liquidity trap. La manovra di Abe secondo me è nella giusta direzione ma non è detto che avrà successo (nonostante l’architettura economica, istituzionale del Paese nipponico sia completamente diversa dalla nostra). Eppure non posso non ammirare il gioco rischioso dei nipponici.
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