Il riscaldamento globale è un tema di cui si è parlato molto negli ultimi mesi, complice il clamore mediatico suscitato dalla COP21 tenutasi a Parigi lo scorso dicembre, e da cui è scaturito un accordo sul clima definito “storico”. L’obiettivo dell’intesa è limitare l’aumento delle temperature a livello globale al di sotto dei due gradi (possibilmente a 1 grado e mezzo) di qui al 2020.
AdviseOnly ha partecipato di recente a una conferenza di Amundi Sgr dedicata all’impatto del cambiamento climatico sugli investimenti e, in quell’occasione, ha posto alcune domande a Vincenzo Sagone, head of etf & Indexing Business Unit dell’asset manager francese, per capire meglio cosa significa questo accordo per il mondo finanziario. Il manager ha spiegato che, per frenare la corsa del termometro, sarà necessario mettere un limite massimo alle emissioni di anidride carbonica (cliccate qui per approfondire). E, per rispettare questo target, le aziende saranno costrette a rinunciare all’utilizzo di parte delle riserve già disponibili di combustibili fossili. Questo a sua volta si rifletterà negativamente (parlando da un punto di vista prettamente economico) sulla valutazione di quelle aziende che annoverano tra i propri asset anche le riserve di combustibile. Ecco allora che agli investitori converrà fare attenzione (anche) al clima nelle loro scelte finanziarie. Ma approfondiamo la questione…
Qui sotto un video a cura di Bloomberg in cui viene ripercorsa la storia del riscaldamento globale dalla fine del 1800 a oggi (e anche oltre… )
Sagone, perché pensa che gli investitori dovrebbero considerare il cambiamento climatico nelle loro decisioni di investimento?
Il riscaldamento globale, oltre ad essere un tema fondamentale per l’umanità intera, porta con sé alcune conseguenze che si ripercuotono anche sul settore finanziario. Il Global Risks report presentato al World Economic Forum del 2014 quantifica l’impatto del rischio climatico al pari di quello di una crisi energetica e al di sopra di un cyber attack o di una bolla finanziaria.
Sappiamo che per rallentare e combattere il surriscaldamento globale è necessario agire regolamentando le emissioni di anidride carbonica. Un tetto massimo di emissioni limiterebbe le possibilità di sfruttare i combustibili fossili disponibili e, dal momento che le aziende vengono valutate anche in base al valore delle proprie riserve, questo avrebbe un impatto finanziario negativo sulla loro valutazione. Ne consegue un potenziale rischio finanziario gravante sul portafoglio degli investitori che detengono quote di tali aziende.
Nel corso del G7 tenutosi all’inizio dell’anno è stato definito un obiettivo di riduzione delle emissioni allo scopo di mantenere l’aumento della temperatura globale entro il limite di 2 gradi. Lo stesso target di contenimento entro i 2 gradi centigradi, e se possibile non oltre 1,5°, è stato confermato nel corso della Cop21 tenutasi a Parigi e conclusasi lo scorso 12 dicembre e da cui è scaturito un accordo sul clima che costituisce passo importante verso un’economia a contenuto impatto ambientale.
Il cambiamento climatico provocherà non solo un innalzamento del livello dei mari, ma anche un caldo insopportabile e problemi all’agricoltura con una conseguente scarsità di cibo. Questa mappa (fonte: elaborazione Bloomberg su dati Climate Control) dimostra che l’ innalzamento del livello del mare derivante da un aumento della temperatura globale di 2 gradi Celsius metterebbe a rischio circa 130 milioni di persone nel corso di diversi secoli. Quattro dei primi cinque mercati più a rischio sono paesi emergenti .
Ma lasciando per un momento da parte l’etica, quali sono i vantaggi per una sgr che decide di creare prodotti “low carbon”?
Il nostro obiettivo di asset manager è quello di rispondere alle esigenze degli investitori, proponendo soluzioni di investimento concrete e utili per fronteggiare i rischi finanziari derivanti dal riscaldamento globale: rischi che, ad oggi, non sono ancora correttamente “prezzati” dal mercato.
Gli indici MSCI Low Carbon Leaders puntano a ridurre il peso di società ad elevate emissioni, ma non a le escludono completamente. Qual è la ratio alla base di questa strategia e quale il punto di equilibrio tra un buon ritorno sull’investimento e una scelta attenta all’ambiente?
Gli indici e i relativi fondi (cliccate qui per approfondire) pur mantenendo una composizione settoriale e geografica simile a quella del proprio indice di riferimento, allo stesso tempo riducono il livello di emissioni o di riserve di combustibili fossili di almeno il 50%. Tale approccio è utile da due punti di vista: per le aziende, in quanto si evita una esclusione settoriale privilegiando un approccio “best in class” che stimola i singoli emittenti a ridurre le proprie emissioni; e per gli investitori, che mantengono un’esposizione simile all’indice di riferimento.
In questo modo, nella poco probabile eventualità in cui non dovessero essere applicate politiche di riduzione delle emissioni, la performance dell’investimento corrisponderebbe a quella dell’indice di riferimento. In caso contrario, questa strategia di investimento potrebbe generare una performance positiva rispetto all’indice.
Avete già (o prevedete di lanciare) altri prodotti di “finanza responsabile”?
Nella gamma di Amundi, oltre ai due fondi indice ed all’ETF che replicano gli indici MSCI Low Carbon Leaders, si aggiunge la capacità di costruire soluzioni dedicate sotto forma di mandati, sia attraverso la replicazione di qualsiasi tipo di indice sia procedendo alla decarbonizzazione di portafogli esistenti.