Il risparmiatore italiano sa che la pensione garantita dalla previdenza pubblica non gli basterà, ma ancora non si decide ad affidarsi a forme integrative e complementari. Il mattone gli va ancora molto a genio, ma le obbligazioni gli piacciono meno e preferisce il risparmio gestito.
Dall’edizione 2018 dellʼ“Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani”, nata dalla collaborazione tra Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi, vengono in superficie grandi conferme ma anche qualche novità sulle tendenze del risparmio italiano.
Pensione, gli italiani non integrano
Oltre tre quarti del campione, senza significative differenze tra istruzione universitaria, media o elementare, ha chiaro il metodo di finanziamento della spesa per le pensioni. Ma, anche a valle della riforma del 2011, c’è un certo diffuso pessimismo sull’importo delle future pensioni.
E nonostante ciò, le forme di secondo e terzo pilastro – fondi e soluzioni assicurative – ancora stentano a decollare. Solo il 15% degli intervistati le ha sottoscritte, oltre un quarto dei quali attraverso la destinazione del TFR.
Casa dolce casa
La percezione dell’investimento immobiliare è cambiata poco negli ultimi 15 anni: la risposta “non è più conveniente di altre forme di investimento” resta decisamente minoritaria e, anzi, nel 2018 si posiziona sui livelli del 2004, dopo aver relativamente allargato la sua base di consensi fra il 2013 e il 2017.
Va comunque detto, sottolineano gli autori dell’Indagine, che la crisi ha lasciato tracce: se nel 2004, infatti, lʼ82,5% del campione riteneva l’immobile un investimento sicuro, quest’anno la quota è del 68,7%, pur se con una rimonta dal 2015 dovuta forse ai tassi bassi e alla ripresa.
Bassa propensione al rischio
Citata al primo posto da circa tre intervistati su cinque, in linea con il 2017, la voglia di sicurezza supera gli altri obiettivi di investimento: costretti all’inseguimento il rendimento di breve periodo (13,6%), la liquidità (11,7%) e il rendimento di lungo periodo (6,7%).
A dimostrazione della bassa propensione dei risparmiatori a rischiare, il 50,4% si dichiara “per niente favorevole” a correre rischi nel momento in cui effettua un investimento, mentre solo il 2,4% si dichiara “molto favorevole”.
C’è ancora una certa miopia
La ricerca di sicurezza tende ad accorciare l’orizzonte temporale entro il quale si valuta la bontà di un investimento: solo lʼ1,4% dei risparmiatori aspetta oltre 10 anni per giudicare, mentre il 22,5% vuole riscontrare il risultato entro un anno dall’investimento (percentuale comunque calata nel corso degli anni).
Circa un quarto degli intervistati si colloca nella fascia intermedia e aspetta fra i tre e i cinque anni prima di esprimere una valutazione.
Diversificazione, questa sconosciuta
La voglia di sicurezza dovrebbe spingere verso la diversificazione degli investimenti, ma qui, probabilmente a causa di competenze finanziarie insufficienti, il comportamento degli investitori contraddice l’obiettivo dichiarato.
Anche nel 2018 gli autori dell’Indagine riscontrano infatti una scarsa diversificazione nei portafogli: il 51,6% degli investitori non diversifica quasi per niente, impiegando più dei due terzi dei propri risparmi in un unico tipo di investimento, e solo il 5,5% diversifica veramente, destinando non più del 10% a ogni strumento (azioni, obbligazioni, depositi liquidi e via dicendo).
Limitata competenza finanziaria
Alla radice di tutto c’è, neanche a dirlo, una limitata competenza finanziaria che, spiegano gli autori, si rivela anche quando il 50,7% degli intervistati dichiara che è difficile comprendere il rischio che le proposte di investimento comportano.
Non solo: il 38,3% degli interpellati ha difficoltà a capire quale sia il momento più appropriato per investire o disinvestire e il 33,5% non riesce a scegliere come suddividere il risparmio tra i diversi tipi di investimento per poter diversificare appropriatamente.
Poco tempo per informarsi
Difficoltà cui si potrebbe almeno in parte ovviare dedicando più tempo a informarsi sui temi di natura economico-finanziaria. Tuttavia, oltre cinque intervistati su 10 dedicano a ciò al massimo un’ora alla settimana: il 28,3% dichiara di non spenderci nemmeno un minuto e solo il 3,1% si informa sulla finanza personale per più di un’ora alla settimana, mentre il 16,6% non sa indicare quanto tempo impiega a questo scopo.
Ma è chi guadagna di più a informarsi di meno, forse perché è più frequente che deleghi l’incombenza al banker o al consulente finanziario di fiducia.
Obbligazioni un po’ appannate
Rispetto al 2017, diminuisce ulteriormente la percentuale di italiani che operano sul mercato dei titoli obbligazionari, complice il prolungato periodo di tassi di interesse prossimi allo zero che ha reso meno attraente questo comparto di investimenti.
Risultato: coloro che non hanno effettuato alcun tipo di operazione sul mercato obbligazionario nei 12 mesi precedenti lʼintervista nel 2018 salgono al 64%, in aumento del 3% dal 2017 e a fronte del 50,4% del 2012. Giù la quota di chi riferisce di avere sia comprato sia venduto obbligazioni negli ultimi 12 mesi: -12,7% rispetto al 2015.
Contro l’investimento obbligazionario rema anche la progressiva presa di coscienza che il rischio di credito non è così remoto. Dalle obbligazioni argentine alla crisi greca, passando per alcune obbligazioni corporate e finendo con la recente crisi delle obbligazioni subordinate di banche in crisi: una lunga scia di eventi ha messo sul chi-va-là i risparmiatori.
Il risparmio gestito guadagna terreno
Dalle obbligazioni gli investitori intervistati sono usciti in due direzioni: la liquidità, favorita dal tasso di inflazione prossimo allo zero, e il risparmio gestito, che sta sostituendo le obbligazioni in cima alla classifica delle forme preferite di investimento finanziario, riscuotendo la soddisfazione del 79,7% degli investitori, oltre 10 punti più della percentuale di soddisfatti delle obbligazioni (68,6%).
Tra coloro che hanno posseduto strumenti di risparmio gestito, la maggior parte (64,7%) ha mantenuto costante, nellʼultimo anno, la quota investita, mentre una parte minoritaria ma non trascurabile (22,3%) l’ha aumentata: a conferma del buon livello di soddisfazione.
Azioni, è lontana l’euforia
Gli intervistati che hanno acquistato e/o venduto azioni negli ultimi cinque anni sono stati il 6,5%, in calo dal 6,9% del 2017 ma comunque più del 5,3% del 2016.
Livelli molto inferiori rispetto agli anni pre-crisi: nel 2004 il 28,1% dei risparmiatori dichiarava di aver operato almeno una volta, nei cinque anni precedenti, sul mercato azionario. E diminuisce la quota di patrimonio destinata all’investimento in azioni. Tutti effetti della paura di perdita di valore dei titoli determinata appunto dalla crisi.
Rimane relativamente basso il livello di diversificazione del portafoglio azionario e la tendenza è quella di tenere le azioni per un tempo relativamente medio o breve, mai lungo, mentre solo l’1,1% fa ruotare con elevata frequenza i titoli, tenendoli per periodi medi inferiori a un mese. Nel complesso, l’investimento azionario viene ancora considerato “un affare per pochi”.