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Referendum in Scozia: quali possibili conseguenze (anche per i risparmiatori)?

Ebbene, ho un messaggio per gli scozzesi: abbiate paura, molta paura. I rischi dell’andare da soli sono enormi. Potete pensare che la Scozia possa diventare un altro Canada, ma è fin troppo probabile che finirebbe col diventare una Spagna senza il sole

Queste le parole del premio Nobel per l’economia Paul Krugman (New York Times, 7 settembre 2014) in vista del referendum del 18 settembre per l’indipendenza della Scozia dal Regno Unito.

Il referendum per l’indipendenza in Scozia

I separatisti scozzesi dello Scottish National Party (SNP), capitanato da Alex Salmond, sostengono di essere una nazione separata, che in quanto tale ha il diritto di avere un proprio Stato e di determinare il suo destino. Per questo vorrebbero la secessione dal Regno Unito. Il desiderio d’indipendenza è unito alla volontà di mantenere la sterlina come valuta nazionale. Una ricetta per il sicuro disastro, a parere di Krugman.  Nelle ultime settimane i sondaggi hanno oscillato parecchio, mostrando una tendenza in favore del “Sì”, per poi attestarsi su un valore probabilistico pari al 50%.

Il desiderio di una nazione di essere indipendente è assolutamente rispettabile e legittimo.

Ma quali potrebbero essere le conseguenze economiche e politiche di una tale decisione?

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Alcune implicazioni politiche e socioeconomiche del Sì

1. L’effetto contagio

La questione scozzese potrebbe creare un precedente, soprattutto perché il suo verificarsi nel cuore dell’Europa occidentale potrebbe legittimare simili movimenti in altre parti del globo, forzando a riconsiderare il concetto di nazione. Si pensi ad esempio alla Spagna, dove i rendimenti dei titoli di Stato governativi hanno iniziato a salire, sotto un crescendo di spinte indipendentiste fomentate da una possibile dichiarazione d’indipendenza da parte della Scozia.

Una situazione simile esiste anche in Belgio, in Ucraina, in qualche modo anche in Italia (per Veneto e Sud Tirolo) e altre regioni del mondo, attualmente avverse a concedere il diritto all’autodeterminazione dei separatisti.

2. Terremoto a Westminster

Il voto scozzese per l’indipendenza potrebbe forzare il primo ministro David Cameron a rassegnare le dimissioni. Il senso di shock e di fallimento nazionale inoltre potrebbe mettere a serio rischio la vittoria dell’attuale coalizione alle elezioni del 2015 per l’ascesa della coalizione laburista e/o liberaldemocratica. Non è da escludere il rischio di una crisi costituzionale in seguito all’affermarsi di un governo laburista-liberaldemocratico. La maggioranza si troverebbe paralizzata se per decidere necessitasse del voto dei parlamentari scozzesi, che usciranno dal Parlamento inglese nel 2016. Di conseguenza la coalizione laburista potrebbe indire nuove elezioni a metà 2016. Questo porterebbe a incertezza e instabilità politica e fiscale per due anni, che certamente non piacerebbe ai mercati.  Ma un distacco della Scozia sarebbe gravido di più ampie conseguenze.

Il premier inglese Cameron ha promesso in caso di rielezione un referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue (Brexit) nel 2017. L’espulsione da Westminster dei 59 parlamentari scozzesi (solo uno dei quali è conservatore), anche nel caso in cui il premier Cameron non fosse rieletto, farebbe comunque oscillare il pendolo verso l’euroscetticismo.

3. Non usate quella moneta

Una Scozia indipendente che decidesse di utilizzare la sterlina si troverebbe in una situazione peggiore dei Paesi dell’euro, i quali almeno hanno qualche voce in capitolo nei confronti della BCE. Il Governo britannico infatti sicuramente si opporrebbe a un adeguamento di responsabilità da parte della Banca d’Inghilterra riguardo alle politiche monetarie, alla stabilità finanziaria e alla supervisione bancaria.

Come osserva Martin Wolf del Financial Times, “il resto del Regno Unito non è certo sfuggito agli orrori della zona euro solo per creare orrori simili in casa propria”. Inoltre, il mantenimento della sterlina limiterebbe fortemente l’indipendenza che si vuole raggiungere. Abbiamo infatti visto come nell’eurozona il sostegno di liquidità fornito ai Paesi colpiti da recessione e disavanzo pubblico sia stato altamente condizionato dalla Troika, con perdita di sovranità nazionale.

Quali consigli per gli investitori?

L’avvicinarsi del referendum per l’indipendenza della Scozia sta generando sempre più pressioni al ribasso della sterlina inglese rispetto al dollaro. Le conseguenze del voto influenzeranno certamente il valore della sterlina e degli asset inglesi.

Nel breve periodo, ci aspettiamo un aumento della volatilità sui mercati, in particolare su azioni e obbligazioni inglesi, ma non situazioni di elevato stress finanziario (seguite l’andamento dei nostri Barometri del rischio, degli indicatori della tensione sui mercati finanziari nelle varie aree del mondo).

Nel lungo periodo, in base a quanto detto sopra, le implicazioni potrebbero essere di ampia portata.

Se pensate che al referendum posso vincere il “Sì”, vi conviene stare lontani da asset denominati in sterline, secondo la logica sottostante ad esempio al nostro portafoglio “Euro Tsunami”.

Continuate a seguirci per monitorare da vicino tutte le reazioni dei mercati al voto in Scozia!

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Ultimi commenti
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    Ma alla fine, l’economia scozzese, su cosa si basa? Le speranze di esportare petrolio? nel breve periodo i costi di organizizzazione dello stato credo che sarebbero mostruosi, con conseguente impennate dell’imposizione fiscale. A quel punto anche le imprese residenti a glascow o nella stupenda edimburgo non credo ci metterebbero molto a “tornare” in Uk.
    Ma non credo che molti dei secessionisti ragionino per fattori economici quanto per fattori emotivi. Ci sarà da ridere…
    Come anche rido dei secessionisti padani, immigrati clandestinamente al tempo dei romani che ora vogliono andarsene con un pezzo di provincia latina…
    Nessuno capisce che l’unione fa la forza, e non è il nome che rende le persone un popolo.

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      Parametrata all’Europa, la Scozia ha l’1% della popolazione europea ma il 20% della pesca, il 25% delle energie rinnovabile e il 60% del suo petrolio. Riparametrata al solo Regno Unito, i numeri salgono esponenzialmente (rappresenta l’8% della popolazione UK ma ben il 32% del territorio).

      In caso di separazione, molto dipenderà da quale criterio verrebbe adottato per suddividere il debito pubblico del Regno Unito: utilizzando il criterio relativo alla popolazione il debito scozzese ammonterebbe a 92 miliardi di sterline ovvero 62% del Prodotto interno Lordo. Un rapporto molto basso, che lo sarebbe ancora di più se venisse invece utilizzato il criterio del bilancio fiscale: 56 miliardi di sterline, 38% del Pil… peraltro da ripagare nell’arco di uno/due decenni. Con questi numeri, la Scozia potrebbe tranquillamente presentarsi all’Unione Europea e chiedere l’annessione da paese sano e forte, visto che il livello debito/PIL richiesto è 60% (l’Italia è al 130%……)… pur non utilizzando l’Euro (non subito quantomeno).

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