Firmato ad Hanoi l’accordo di libero scambio più grande della storia. Parliamo di Asia e sì soprattutto di Cina. Pechino infatti porta a casa un risultato inedito: un’alleanza commerciale con le vicine “tigri asiatiche” e con Australia e Giappone, tempo fa nell’orbita statunitense creata da Obama grazie al Tpp, poi abbandonato da Trump. Un abbandono che lasciò il Paese del Sol Levante orfano del proprio maggiore partner commerciale e che quindi lo costrinse a rivolgersi verso il secondo in lista, ossia la Cina, con cui però non aveva ancora sottoscritto alcun accordo commerciale. E oltre agli accordi inediti su dazi, eCommerce e proprietà intellettuale quello che più di tutto balza agli occhi è proprio questo ritrovato multilateralismo in una regione, quella dell’Asia-Pacifico, costellata da sempre da differenze e frizioni. Grazie al Rcep, e alla dipartita dell’America first, Pechino dimostra di poter diventare il nuovo epicentro del multilateralismo, firmando un’intesa dalla portata storica. Per la prima volta, tre delle prime quattro economie asiatiche – Cina, Giappone, Corea del Sud – faranno parte di uno stesso accordo di libero scambio.
Pechino alla guida del 30% del Pil mondiale
È da tempo che la Cina prova a imporsi nella regione asiatica come campione di multilateralismo. E non solo in Asia; pensiamo alla nuova Via della seta, agli investimenti in Africa, a quelli nei porti e negli hub commerciali europei, Italia in testa. Il Rcep non è altro che un -grande- complemento a una strategia di partito che parte da molto lontano. L’accordo oltre all’immenso valore commerciale ha infatti un rilevante valore politico: nella competizione con gli Stati Uniti per l’egemonia mondiale, Pechino ha portato avanti con pazienza e determinazione la propria diplomazia e ha costruito, per ora solo su carta, un blocco di influenza che rappresenta il 30% del pil globale e che, nondimeno, accoglie i vecchi alleati di Washington. Si tratta comunque di un successo per tutta l’area. Dal Giappone, che riesce a disinnescare la guerra commerciale in atto tra Cina e Australia, per passare poi alla stessa area ASEAN, che conta di beneficiare ampiamente della riduzione dei dazi.
Un accordo con numeri da capogiro
Anche con l’India assente, i numeri dell’intesa sono impressionanti. Parliamo di un’area che, come abbiamo visto, produce quasi un terzo del Pil mondiale e ospita 2,7 miliardi di persone. Include tutti e dieci i Paesi dell’ASEAN, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico, più Cina, Australia, Corea del Sud, Giappone e Nuova Zelanda. Secondo le stime degli analisti rafforzerà i legami economici all’interno della regione e aggiungerà circa 200 mld di dollari annui all’economia globale. In termini di PIL dei Paesi firmatari, avrà inoltre un peso maggiore rispetto al NAFTA in Nordamerica e alla stessa Unione Europea. Il risultato per l’Asia sarà il rafforzamento delle catene di approvvigionamento regionali. Aspetto sul quale Pechino, punta sempre di più per ridurre la dipendenza asiatica dagli Stati Uniti.
Le novità sul commercio
Il punto focale dell’accordo raggiunto è l’impegno a ridurre progressivamente i dazi fino al 90% sulle merci in circolazione nel giro di 20 anni – al 65% nel breve periodo-. Questo significa l’addio ai tanti accordi bilaterali in Asia che limitavano la circolazione delle merci e facevano lievitare i costi. Grazie al Rcep non sarà più necessario concludere ogni volta accordi specifici tra due Stati per togliere dazi sui beni commerciati. Da ora in poi un produttore di un Paese membro del RCEP potrà commerciare liberamente con tutti gli altri 14 paesi dell’accordo. Secondo le stime degli analisti l’86% dell’export industriale giapponese verso la Cina e il 92% di quello diretto verso la Corea del Sud beneficerà della cancellazione dei dazi esistenti. La novità maggiore è sicuramente rappresentata dalle “rules of origin”, ossia le regole che definiscono ufficialmente la provenienza di un prodotto finito. Oggi un prodotto realizzato in Thailandia che contiene però componenti neo-zelandesi, ad esempio, potrebbe essere soggetto a dazi in alcuni Stati Asean. Sotto il Rcep invece, le componenti di qualsiasi Paese membro verrebbero trattate allo stesso modo, dando alle aziende dell’area un incentivo a cercare fornitori all’interno della regione commerciale.
Dove sono i diritti umani e ambientali?
Non ci sono. Dal testo dell’accordo trapelato, sebbene molti dettagli devono ancora essere rilasciati, le predisposizioni in materia di protezione dei lavoratori e dell’ambiente non sembrano aver riscosso successo. Non c’è un vero “enforcement” e tanti argomenti – come quello ambientale- non vengono nemmeno toccati. I negoziati d’altro canto si sono sempre svolti a porte chiuse senza alcun tipo di controllo democratico. Il rischio? Quello di mettere il profitto aziendale prima dell’interesse pubblico. Nella sua forma attuale, la Regional Comprehensive Economic Partnership garantirebbe di fatto alle imprese il diritto di aggirare le leggi nazionali, comprese quelle ambientali, e di citare in giudizio i governi ogniqualvolta li ritenessero responsabili di limitare i propri guadagni finanziari. Niente di nuovo per l’occidente, forse però qualcosa che a noi europei -almeno noi cittadini- suona quasi come un modo di fare antico e superato.
Come hanno reagito i mercati?
I listini di tutto il mondo hanno accolto con favore l’intesa di domenica 15 novembre aprendo lunedì in territorio positivo. In Giappone, il Nikkei 225 ha guadagnato nella giornata di apertura il 2,05% per chiudere a 25.906,93, mentre il Topix è cresciuto dell’1,68%. Semaforo verde anche in Corea del Sud, dove il Kospi è salito di quasi il 2% per chiudere a 2.543,03 e in Cina dove lo Shanghai Composite è salito di oltre l’1% a 3.346,97, mentre la componente di Shenzhen è salita dello 0,7% a 13.850,83. E sul medio-lungo periodo? Secondo molti analisti economici, la RCEP potrebbe aiutare ad attutire il colpo economico della pandemia. In aggiunta, permetterà uno sviluppo ulteriore dei Paesi Asean e degli emergenti dell’area i cui produttori potranno vendere una maggior quantità dei loro prodotti nella macro-regione. L’accordo è comunque una “vittoria contro il protezionismo” e le guerre commerciali, quindi un fattore positivo e di stabilità per i listini globali. Un “colpaccio “ però prettamente cinese e che spingerà Pechino a diventare la nuova prima potenza mondiale.