Il 29 maggio 2019, la Commissione UE ha inviato all’Italia una lettera che richiedeva di fornire spiegazioni sulla mancata manovra di riduzione del debito pubblico, ritenuto ancora una volta eccessivo (siamo oltre il 132%, secondi solo alla Grecia).
L’Italia, nonostante gli ammonimenti di Bruxelles, non ha fatto i progressi sufficienti. Ormai il fantasma delle sanzioni aleggia perennemente sulle nostre teste, ma siamo sicuri di sapere cos’è una procedura d’infrazione e perché viene attivata?
Cos’è la procedura d’infrazione della Commissione UE
Per prima cosa c’è da chiarire che la procedura d’infrazione è uno strumento in capo alla Commissione Europea regolato da due articoli (art. 258 e art. 260) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) recepiti dall’articolo 117 della Costituzione italiana, il quale sancisce che la potestà legislativa esercitata dallo Stato e dalle regioni non solo deve rispettare la Costituzione stessa, ma anche i vincoli dell’ordinamento comunitario.
La Commissione ha la responsabilità di garantire che tutti gli Stati membri applichino correttamente il diritto dell’UE e può quindi intervenire quando non viene recepita integralmente una determinata direttiva entro il termine stabilito, o quando viene applicato incorrettamente il diritto comunitario.
La procedura d’infrazione non è uno strumento poco utilizzato: in totale, dal 2014 al 2017, sono state avviate 3.337 procedure d’infrazione, per una media di 119 contenziosi a Paese e circa 834 procedure all’anno.
L’Italia ha all’attivo 71 procedure, di cui 64 per violazione del diritto dell’Unione e 7 per mancato recepimento delle direttive. Dal 2012, queste infrazioni sono costate all’Italia circa 78 milioni di euro all’anno.
Quali sono le materie oggetto delle violazioni?
Quasi il 20% dei contenziosi pendenti in Italia alla fine del 2017 riguardava l’ambiente (per lo più in tema di discariche abusive). Si tratta dell’ambito di gran lunga più ricorrente, seguito a distanza da mobilità e trasporti (15,91%) e stabilità finanziaria (14,50%).
Ma sarebbe la prima volta nella storia dell’Unione Europea che viene attivata una procedura d’infrazione per debito eccessivo.
Cos’è la procedura d’infrazione per debito eccessivo?
Veniamo a noi: cos’è che non va a genio alla Commissione e perché rischiamo di essere il primo Paese europeo a dover fare i conti con una violazione delle normative sul debito?
La procedura d’infrazione per eccesso di debito pubblico è regolata dall’articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Si tratta di un provvedimento che l’UE è chiamata a prendere in considerazione quando un Paese membro non rispetta due requisiti:
- il deficit di bilancio pubblico non deve superare il 3% (cioè il rapporto tra le uscite di uno Stato e i suoi incassi non deve andare oltre i 3 punti percentuali);
- il rapporto debito/PIL non deve superare il 60%.
Secondo quanto previsto dal Fiscal Compact, l’accordo europeo sulla stabilità del bilancio, il debito di uno Stato dovrebbe diminuire ogni anno di un ventesimo, o almeno procedere il più velocemente possibile verso il limite del 60%.
Nel caso in cui l’UE non ritenga valida la strategia correttiva sul disavanzo progettata da un Paese, la Commissione chiederà alla corte di Giustizia di imporre delle sanzioni.
Qual è la situazione in Italia?
Il debito negli ultimi 12 anni è solo aumentato: nel 2018 di 0,8 punti percentuali (passando dal 131,4% al 132,2% del PIL) e nel 2019 si attesterà attorno al 133,7% del PIL, proseguendo verso il traguardo del 135,2% nel 2020.
Il deficit di bilancio è al 2,4%, sotto il 3% stabilito dalla Commissione, ma ancora alto soprattutto considerata la mancata riduzione del rapporto debito/PIL. È vero che molti Paesi hanno sforato, ma è anche vero che non hanno un rapporto debito/PIL alto come il nostro (solo la Grecia è al 180%, ma attualmente ha un deficit di bilancio positivo).
Cosa rischia il nostro paese?
Queste le sanzioni previste:
- multa (fino a un importo massimo pari allo 0,5% del PIL), calcolata in base all’importanza delle norme violate e agli effetti della violazione sugli interessi generali dell’Unione Europea. In questo caso sarebbe intorno ai 9 miliardi di euro;
- congelamento dei fondi strutturali, ovvero dei finanziamenti che l’Unione Europea dà agli Stati membri per investimenti mirati alla crescita economica e occupazionale del Paese;
- interruzione dei prestiti concessi dalla Banca Europea degli Investimenti e uscita dal programma di acquisto di titoli di Stato della Banca Centrale Europea.
La tabella di marcia
Dopo il parere positivo (ma negativo per l’Italia) da parte del Comitato Economico e Finanziario del Consiglio, in base alla normativa sul funzionamento dell’UE questo sarebbe il calendario delle prossime azioni europee:
- entro il 9 luglio: il Consiglio di Economia e Finanza decide se avviare la PDE (Procedura per Disavanzi Eccessivi) dopo una valutazione globale;
- entro fine luglio: vengono decisi termini e condizioni da far rispettare all’Italia. La Commissione può proporre al Consiglio di far depositare all’Italia un deposito infruttifero al massimo pari allo 0,2% di PIL;
- entro fine agosto: la proposta di procedura è accettata automaticamente, salvo che il Consiglio voti per rigettarla. Ci sarà un ulteriore confronto tra Commissione ed Ecofin per eventuali modifiche sulle percentuali dell’importo entro lo 0,2%;
- entro 3/6 mesi dall’apertura della procedura: la Commissione verifica la “mancanza di azioni efficaci” da parte dell’Italia e propone raccomandazioni al Consiglio. In caso di mancanze, le sanzioni (entro lo 0,2%) dovranno essere decise nell’arco di 30 giorni;
- entro i successivi 2/4 mesi: se le inadempienze continuano e si aggravano, Ecofin può decidere di aumentare le sanzioni fino allo 0,5%, la BCE può essere esortata a rivedere i prestiti e il Fondo Europeo per Investimenti Strategici può sospendere gli impegni e i pagamenti.
Le sanzioni, se accettate, diventerebbero effettive a partire da gennaio 2020.
“Uomo avvisato, mezzo salvato”.