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Perché le Borse sono volatili?

Le aziende hanno generalmente business assai più stabili delle quotazioni in Borsa dei loro titoli: perché? Per capire la volatilità delle azioni e delle Borse occorre fare i conti con l’incertezza.


Forse vi sarete chiesti perché le Borse e gli investimenti associati (ad esempio fondi comuni ed ETF azionari) oscillano violentemente.

In fondo – si potrebbe pensare – la bontà dei prodotti e dei servizi venduti da un’azienda quotata in Borsa non cambia tanto bruscamente. Quindi perché mai il prezzo dell’azione corrispondente dovrebbe fluttuare così tanto? Per non parlare poi degli indici di Borsa, costruiti aggregando e mediando tanti titoli: dovrebbero essere ancora più stabili. O no?

No.

Vediamo perché. In modo semplificato, ma cogliendo – spero – il punto. La storia può apparire a tratti intricata, ma credo sia di quelle buone per chi vuole capire meglio i mercati finanziari. Per cui: fidatevi e state con me quando affronteremo alcuni passaggi minimamente tecnici.

Valutazioni da (Flash) Gordon

Le azioni si possono valutare rapidamente con una formuletta nota come “modello di Gordon” – ma non si tratta di Flash, bensì di Myron Jules Gordon, Professore Emerito di Finanza alla University of Toronto. È una versione semplificata del Dividend Discount Model del quale parlammo tempo fa.

Non provate nemmeno a darvi alla fuga: è roba semplice in modo offensivo e, se siete i lettori di AdviseOnly che conosco io, ve la pappate in scioltezza. La formuletta di Gordon asserisce che il valore – il mitico “prezzo teorico”, o fair value  – di un’azione o di un intero indice azionario, è dato da:

 

prezzo_teorico

 

L’idea è: il prezzo teorico è tanto più alto quanto più alto è il dividendo e le sue prospettive di crescita, ma è tanto più basso quanto più è alto il rendimento delle obbligazioni e/o il premio richiesto dagli investitori per assumersi il rischio azionario (“equity risk premium”).

Ciò ha intuitivamente senso, nella sua rude semplicità. Sebbene la realtà sia più complessa (se volete farvi un’idea, ne parlammo in passato), per i nostri fini, esclusivamente didattici, ci turiamo il naso, facciamo finta di niente e prendiamo per buona la formula di Gordon: ci consentirà di osservare più semplicemente le bizzarrie della valutazioni, grazie a un esempietto.

Scendiamo un attimo a giocare con la realtà

Consideriamo l’indice più popolare delle Borse mondiali, l’MSCI World. Mentre scrivo, vale 1.897 dollari. Con dati ragionevoli (ribadisco paranoicamente: lo scopo è solo didattico) nutriamo la formula di Gordon con gli input richiesti:

  • y = media dei rendimenti obbligazionari a lungo temine dei Paesi Sviluppati (1,8%);
  • D = dividend yield corrente (2,3%) moltiplicato per l’attuale valore dell’indice MSCI World (1897 dollari);
  • erp = equity risk premium mondiale pari alla media annua dal 1900 al 2016 (3,2%);
  • g = tasso di crescita nominale dei dividendi pari alla media dell’ultimo decennio nei Paesi Sviluppati (2,8%).

Facendo i conti, viene fuori che il prezzo teorico del MSCI è 2.040 dollari, più elevato del 7% rispetto al valore corrente. Quindi, in sostanza, la formula di Gordon ci dice che, in aggregato, le azioni mondiali sono vicine al fair value (incidentalmente, lo suggeriscono anche metodi di valutazione più realistici), con ancora un piccolo margine di crescita. Ora, grosso modo tutti possono giungere a considerazioni simili. Dunque, perché mai il mercato azionario non è stabile come un lichene su una roccia? Perché ha questa deprecabile propensione ad oscillare vistosamente, creando ansia agli investitori?

La risposta si nasconde dietro un’altra domanda: siete proprio sicuri di quei numeri?

Fate largo, arriva l’incertezza

Ammettiamo di non essere proprio sicuri degli input inseriti nella formula di Gordon. Abbandoniamo l’idea fasulla di certezza. Proviamo invece a fare i conti tenendo conto dell’aleatorietà che domina il mondo: ipotizziamo che i valori degli input possano variare intorno a quelli utilizzati in precedenza. Detto meglio: gli input non sono deterministici, ma probabilistici (cioè hanno una distribuzione di probabilità – scrivetemi se volete dettagli, se no qui la storia si fa lunga).

Per esempio, ipotizziamo che il premio al rischio azionario (sulla cui raison d’être e dimensione gli economisti finanziari sono in grado di dibattere fino al termine dell’Antropocene) possa assumere un’ampia gamma di valori, rappresentati nel grafico seguente, dove l’altezza della curva indica una più elevata probabilità d’accadimento. Notate che la probabilità s’addensa ed è più elevata nei pressi del valore medio secolare (3,2%), ma non si escludono altre possibilità.

 

E ora che cosa accade alle valutazioni di Borsa?

Se accettiamo che gli input della formula di Gordon abbiano natura probabilistica (infatti alcuni non li conosciamo, come il tasso di crescita futuro dei dividendi, o l’erp, altri sono valori sì correnti, ma cambiano di continuo, come il rendimento obbligazionario), possiamo effettuare una simulazione Monte Carlo, macinare numeri e vedere che cosa salta fuori.

È ciò che ho fatto.

Il grafico seguente mostra i valori che può assumere il prezzo teorico dell’indice MSCI World (asse orizzontale) vs la probabilità di accadimento (altezza della curva) con le nostre ipotesi.

La campana è più elevata in corrispondenza di 2.040 dollari, il prezzo teorico calcolato in precedenza, ma si estende molto oltre, sia a destra, fino a 3.000 dollari, sia a sinistra, fino a 1.400 dollari: insomma, bastano piccole variazioni negli input per produrre ampie oscillazioni nell’output della formula. E ricordatevi che quello di Gordon è un modello semplificato. Nella realtà – assai più complessa – in ogni istante ciascun operatore si forma un’idea sul valore del mercato con il proprio modello, mentale o analitico, dagli input più che mai incerti, variabili nel tempo e spesso influenzati da fattori psicologici. Ciò porta ad un output ancor più incerto, che cambia di continuo.

Ecco perché i titoli azionari e gli indici di Borsa sono volatili.

Ecco perché cercare di stimare “IL” prezzo teorico del mercato azionario o, ancor peggio, farne le previsioni puntuali da un anno all’altro, equivale a cercare il Sacro Graal.


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Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

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