Ebbene, sì: siamo di nuovo in quella stagione in cui si parla di vendere le riserve auree della Banca d’Italia per far fronte agli interessi e ai rimborsi del nostro bel debito pubblico, che oggi è al 132,1% del Prodotto Interno Lordo.
Al momento, la cosa non si può fare (ma c’è una proposta di legge per nazionalizzare Bankitalia e un’altra per stabilire che la proprietà del suo oro in realtà è dello Stato italiano). E anche se si potesse, quel “tesoretto” avrebbe un’incidenza quasi da una diluizione omeopatica nel mare del nostro debito pubblico: parliamo infatti di un valore di circa 85 miliardi di euro, a fronte dei 2.400 miliardi di debito del nostro Paese.
Sullo sfondo di un mercato in cui gli investitori sono tornati a comprare oro spinti dall’ansia per il rallentamento economico e dalla ricerca di un “rifugio”, l’occasione ci è però propizia per fare il punto sulla domanda di metallo giallo e sulle riserve auree delle banche centrali.
Palazzo Koch, riserve auree italiane
Bankitalia detiene nei suoi forzieri 2.452 tonnellate metriche di oro, tra lingotti e monete, con un valore – secondo l’ultimo bilancio disponibile1 – di 85,3 miliardi di euro.
L’ammontare di oro della Banca d’Italia la colloca al quarto posto nella classifica mondiale aggiornata a dicembre e redatta dal World Gold Council, l’organizzazione che raccoglie gli operatori dell’industria del metallo prezioso e che si prefigge di stimolarne e sostenerne la domanda.
La domanda di oro nel 2018
A fine gennaio, il World Gold Council ha pubblicato un report che fa il punto sulla domanda di oro nel 20182. Ebbene, lo scorso anno la richiesta ha raggiunto le 4.345,1 tonnellate, contro le 4.159,9 del 2017 e in linea con la media quinquennale, segnando una variazione annua del +4%.
Decisivo è stato l’aumento degli acquisti da parte delle banche centrali (e altre istituzioni). Mentre l’offerta annuale si è attestata sulle 4.490,2 tonnellate.
Gli acquisti delle banche centrali
Lo scorso anno, quindi, la domanda di oro delle banche centrali ha raggiunto il suo massimo, portandosi oltre le 651 tonnellate. In termini percentuali, ciò equivale al +74% rispetto al 2017. Si tratta del livello di acquisti netti annuali più alto dalla sospensione della convertibilità del dollaro USA in oro, nel 1971, e del secondo totale annuo più elevato mai registrato.
Così, oggi le banche centrali detengono quasi 34 mila tonnellate di oro. Cosa è successo? È successo che l’incremento dell’incertezza geopolitica ed economica che si è verificato durante l’anno ha indotto sempre di più le banche centrali a concentrare la loro attenzione sull’obiettivo di investire in attività sicure e liquide.
Cosa ci fanno le banche centrali con l’oro?
Secondo un’indagine commissionata dal World Gold Council, il 76% delle banche centrali considera il ruolo dell’oro come bene rifugio “altamente rilevante”, mentre il 59% menziona la sua efficacia in termini di diversificazione del portafoglio.
In effetti, tramontato il sistema aureo (il cosiddetto Gold Standard), queste sono le principali funzioni dell’oro custodito nei forzieri delle banche centrali. Ma, aggiunge Bankitalia sul suo sito web, il più prezioso dei metalli può anche “essere dato in deposito per ricavare un reddito” e “può essere utilizzato come garanzia per ottenere dei prestiti sul mercato”.
Quindi cosa ci fa la Banca d’Italia oggi?
“Le riserve auree”, si legge sul sito della Banca d’Italia2, “hanno la funzione di rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e della moneta unica”. Funzione, questa, che “diviene più importante quando le condizioni geopolitiche o la congiuntura economica internazionale possono generare rischi aggiuntivi per i mercati finanziari”.
Nota a margine: l’oro di Bankitalia è custodito nei suoi caveau e, in parte, in alcune banche centrali all’estero, anche per una strategia di diversificazione valutaria finalizzata alla minimizzazione dei rischi e dei costi.
Non solo banche centrali: le altre fonti di domanda
Le altre fonti di acquisto di oro nel 2018 sono riconducibili, sempre secondo le rilevazioni del World Gold Council:
- alla gioielleria (la cui domanda è rimasta invariata rispetto al 2017);
- alla tecnologia (+1% dal 2017);
- agli investimenti in lingotti e monete e in ETF e altri prodotti finanziari con sottostante l’oro (-7% dal 2017).
Proprio in riferimento agli investimenti, merita una segnalazione il fatto che lo scorso anno la preferenza è andata all’oro “che si tocca” – basti pensare che le monete auree ufficiali hanno fatto registrare un +26% – piuttosto che agli ETF, che invece hanno dovuto incassare un -67% nel 2018 rispetto al 2017.
In compenso, la volatilità del mercato azionario e i segnali di rallentamento della crescita economica nel quarto trimestre dell’anno hanno ridato vigore agli Exchange Traded Funds, come si vede dal grafico.
1 – Il bilancio della Banca d’Italia, fonte: Banca d’Italia
2 – Riserve in valuta e in oro, portafoglio di investimento e gestione dei rischi, fonte: Banca d’Italia