La più grande fuga di documenti riservati della storia, più grande di Wikileaks. E questa volta si parla di vip, politici e sportivi, tutti collegati da un solo fil rouge: l’evasione fiscale.
Ovunque nel mondo, in questi giorni si parla solo di questo: conti offshore.
Paradisi fiscali.
Panama.
Leggo che per qualcuno si tratterebbe del “nuovo caso Spotlight”.
Domenica è esplosa la notizia che una mandria di ricchi e potenti, un lungo elenco che include politici, regnanti, imprenditori, aziende, criminali, artisti, sportivi e celebrità varie di tutto il mondo, ha utilizzato i soliti paradisi fiscali per tenere i quattrini alla larga delle zampe del fisco nei rispettivi Paesi. Uno zoo che vede, stando alle prime indiscrezioni, anche Putin, il presidente cinese Xi Jinping, quello ucraino Porochenko, il calciatore Messi, Platini, Montezemolo, Trulli… pare ci siano circa 800 italiani nell’elenco. Un bel manipolo di personaggi per una gigantesca massa di soldi dirottata da studi legali internazionali e banche verso classici paradisi fiscali, come le Isole Vergini Britanniche, Panama, Bahamas, Anguilla, e compagnia bella.
Al centro dello scandalo c’è lo studio legale panamense Mossack Fonseca, che vende a migliaia di ricconi e aziende una bella identità anonima nei paradisi fiscali sparpagliati nel mondo e che ha avuto la sfiga di trovarsi al centro dell’inchiesta condotta da un agguerrito collettivo di giornalisti, l’International consortium of investigative journalists, o Icij (bravi, così si fa il giornalista). Ne è saltata fuori la più vasta fuga di notizie nella storia della finanza, più vasta di Wikileaks. Quarant’anni di affari dello studio legale, 11,5 milioni di documenti. Gigabyte su gigabyte.
A questo punto ho solo una domanda, ciurma: ma dov’è la novità? Che i ricchi portino nei paradisi fiscali i loro quattrini è il segreto di Pulcinella.
A parte le ovvie smentite (le banche coinvolte dichiarano di aver seguito le regole, che è tutto legale e bla bla bla, idem Mossack Fonseca che assicura di aver “sempre seguito i protocolli internazionali”, ah!) e le reazioni seccate degli interessati (si cade nella banalità: in Russia c’è chi grida al complotto della CIA), qui è tutto da vedere.
Infatti, non voglio spegnere gli entusiasmi dei fanatici del rogo e delle mani mozzate, ma guardate che la maggior parte dei servizi offerti dall’industria dell’offshore, pur non attirando le simpatie del popolino, è del tutto legale.
Ovvio che tenere i quattrini in un centro offshore anziché a casa propria qualche perdita d’entrate fiscali nei rispettivi Paesi la provoca. Ma se è legale c’è poco da dire. Quindi occorre vedere se ci sono illeciti (…quasi certamente ci sono, è come quando ti fermano i carabinieri in auto: qualcosa trovano sempre). Resta da vedere quali. E infatti regulators e polizie di tutto il mondo hanno reagito tutte più o meno così: “OK, ci guardiamo”, senza tanti ulteriori commenti. Per la serie prima s’indaga, poi si banfa.
Tirando le somme, per ora, dal punto di vista delle evasioni fiscali e degli illeciti vari, il peso dello “scandalo di Panama” è tutto da valutare. Una cosa è sicura: oggigiorno, con la gran quantità di informazioni digitali, se c’è del marcio, è più facile che venga a galla. Poi, dalla notte dei tempi, al popolo è sempre piaciuto vedere re e potenti alla berlina, e oggi non si fa eccezione: quindi il successo di pubblico dei Panama Papers è assicurato. E magari più di qualche testa volerà via dal collo.