A tre giorni dal referendum sulla Brexit, la politica prende tempo e i mercati reagiscono all’incertezza. Lo fanno senza dare il peggio di sé, esprimendo volatilità ma rimbalzando rispetto alle secche perdite della settimana scorsa. A pagare sono sempre i soliti: i Paesi Periferici, le banche e, ovviamente, la sterlina.
La questione politica
Dopo le dimissioni di Cameron, gli inglesi non hanno fretta di attivare l’articolo 50 ed i leader europei non hanno intenzione di forzare troppo la mano.
Questo vuol dire che, nella migliore delle ipotesi, fino ad ottobre i rapporti tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna non cambieranno di una virgola, almeno fino a quando il partito conservatore dei Tory non abbia scelto un nuovo leader che sostituisca il dimissionario Cameron. Nel caso in cui il prossimo leader conservatore decida di avvalersi del consenso popolare, i tempi si potrebbero allungare, dovendo necessariamente passare da nuove elezioni.
Perciò, in perfetto stile europeo, nessuno per il momento sembra assumersi le proprie responsabilità. Tutto ruota intorno al famigerato articolo 50 del Trattato di Lisbona, che consente a ogni Stato membro di decidere di “recedere dall’Unione conformemente alle proprie norme costituzionali”.
Articolo 50, e poi?
A questo punto che cosa succederà una volta che il Governo inglese avrà deciso di avvalersi dell’articolo 50? Un documento preparatorio del Governo inglese ne sintetizza i passi fondamentali.
- Il Consiglio Europeo (senza il Regno Unito) deve approvare le linee guida del processo di negoziazione che verrà affidato alla Commissione Europea.
- La Commissione Europea presenta le proprie raccomandazioni preliminari al Consiglio Europeo che, con una maggioranza qualificata (20/27, con l’eccezione che un Paese ponga il veto) deve autorizzare l’avvio delle negoziazioni ufficiali e nominare i negoziatori.
- La Commissione Europea inizia a negoziare.
- Il Parlamento Europeo (in questo caso i parlamentari inglesi possono votare) deve approvare a maggioranza semplice il cosiddetto “accordo di uscita”.
- Il Consiglio Europeo (senza il Regno Unito) deve approvare l’accordo con la maggioranza qualificata (che in qualsiasi momento può essere osteggiata dal veto imposto da un Paese membro).
Tick-Tock
Inoltre, l’articolo 50 impone una corsa contro il tempo, dal momento che una volta che la procedura inizia le parti hanno due anni per negoziare e far approvare l’accordo di uscita. Se il tempo non bastasse, gli Stati membri hanno la facoltà di estendere il periodo delle negoziazioni, ma la decisione deve essere approvata all’unanimità. In caso contrario ci potrebbe essere un vuoto legislativo tale per cui i cittadini e le imprese UK non possono avvalersi delle tutele europee e viceversa.
Qualsiasi negoziato successivo tra Unione Europea e Gran Bretagna dovrà seguire un iter di negoziazione complesso come quello appena spiegato ed in alcuni casi anche essere ratificato dai parlamenti nazionali.
Su cosa si tratterà?
I temi dominanti dell’accordo di uscita toccano l’insieme dei diritti ed i doveri legati all’accesso al Mercato Unico Europeo, alla circolazione libera delle persone, ai fondi strutturali per le regioni povere, fino ai database per la lotta contro il terrorismo.
Per capire la portata del lavoro di negoziazione pensiamo ai 4,5 milioni di cittadini inglesi ed europei che vivono, lavorano e viaggiano tra UK ed Europa continentale, e che potenzialmente potrebbero perdere la flessibilità di movimento, il permesso di lavoro o l’accesso alla sanità o alla pensione.
Un altro esempio potrebbe riguardare l’applicazione dei dazi sulle merci. L’accesso al Mercato Unico permette alle imprese UK (e viceversa) di non applicare una serie di dazi che possono modificare pesantemente i rapporti commerciali tra i due blocchi.
Perciò l’iter burocratico sembra piuttosto complesso e ricco d’insidie, specialmente se manca la volontà politica, vista la portata degli accordi da riscrivere, il potere di veto dei Paesi membri e gli impegni elettorali del prossimo anno, come le elezioni presidenziali in Francia e quelle federali in Germania.
I nostri portafogli
Nell’ultimo mese le nostre idee d’investimento hanno retto l’urto piuttosto bene, la buona diversificazione tra fattori di rischio ci ha protetto dal calo dei mercati azionari e qualche mossa tattica è andata a buon fine. Alla chiusura dei mercati di ieri la maggior parte dei nostri portafogli ha performance positiva in questo ultimo mese burrascoso (mentre l’indice mondiale delle Borse MSCI World segna -4,6%). Anche i portafogli con performance negative (quelli strutturalmente più esposti agli attivi rischiosi, in ragione del loro obiettivo ed orizzonte temporale) hanno perso pochi decimi di punto percentuale, contenendo i danni.
In questa fase rimaniamo prudenti e siccome in AdviseOnly abbiamo l’abitudine di muoverci sui dati e fatti, piuttosto che sui rumors di giornata, pensiamo che non sia ancora arrivato il momento di muovere i portafogli.
I nostri portafogli vengono aggiornati in modo costante, per renderli adatti ai mutamenti del mercato.