La sensazione che l’Italia non valorizzi appieno il suo patrimonio accomuna molti italiani. Questo vale anche per il mondo del risparmio gestito e del wealth management, in cui gli operatori stranieri stanno conquistando importanti fette di mercato. Un fenomeno che inizia a farsi strada anche nel settore dei minibond, con i fondi alternativi stranieri che fanno il loro ingresso in un mercato squisitamente domestico. Al di là del “fascino dello straniero”, è interessante capire su quale piano si giochi la competizione in un settore merceologico, quello del risparmio gestito, dove l’Italia in passato si è giocata malissimo le sue carte, e probabilmente continua a farlo anche adesso.
Ne parliamo con Marco Rosati, amministratore delegato di Zenit Sgr.
Nonostante l’Italia sia storicamente un Paese risparmiatore, nell’ultimo decennio siamo stati abili a compiere una duplice impresa: (1) far scappare il denaro dei risparmiatori, gestito in larga parte da gestori stranieri e (2) distruggere l’industria del risparmio gestito – gli asset manager in Italia infatti sono ormai rari. Come mai è accaduto questo?
Concordo perfettamente con l’analisi ma con una precisazione: non abbiamo fatto scappare all’estero il risparmio, lo abbiamo regalato ai gestori stranieri. La dimostrazione? I due terzi dei fondi venduti in Italia sono domiciliati in Lussemburgo o in Irlanda. Asimmetrie legislative, regolamentari e fiscali hanno reso molto più oneroso operare in Italia rispetto ad altri Paesi europei e così ci siamo privati dell’unica vera risorsa di cui dispongono gli italiani: il più elevato risparmio privato al mondo.
I gestori stranieri sono forse più bravi? Oppure è un problema di mancanza (ancora una volta) di una politica industriale (in senso lato)?
I gestori stranieri non sono assolutamente più bravi, sono solo molto più grandi ( grazie anche ai nostri soldi) e possono contare su un ambiente favorevole, in quanto molti Paesi hanno capito perfettamente che la finanza è un grande affare. Pensate solo all’Inghilterra, all’Irlanda e al paradosso del Lussemburgo, un Paese minuscolo che vive e prospera sull’industria del risparmio gestito. Non possiamo limitarci a dire che sia mancata la politica industriale. Abbiamo colpevolmente regalato miliardi di PIL, decine di migliaia di posti di lavoro super-qualificati, infrastrutture e competenze senza alcun motivo.
Quello dei minibond è un mercato tipicamente italiano (qui alcuni dati sul settore), che interessa il tessuto industriale caratteristico del Paese, cioè le PMI, con le loro peculiarità: che vantaggi competitivi ritenete abbia un gestore specializzato italiano, rispetto a uno straniero?
Noi di Zenit operiamo su questo nuovo mercato ormai da quasi tre anni, abbiamo effettuato decine di investimenti e studiato un centinaio di aziende. Per investire bene i soldi che gli investitori ci affidano e ripagare la loro fiducia, non basta analizzare i bilanci: bisogna entrare in azienda, viaggiare per tutta Italia, parlare con gli imprenditori (…a volte in dialetto) e capirne la mentalità. Solo un italiano che sta in Italia può farlo con successo. Il più bravo analista del mondo, con tutti i suoi modelli finanziari (di solito americani) non riuscirà mai a cogliere l’essenza e le peculiarità dell’azienda. Limitarsi a guardare i numeri sarebbe come guidare in avanti guardando lo specchietto retrovisore.
Perché i risparmiatori italiani dovrebbero preferire un gestore italiano?
Perché siamo bravi quanto gli stranieri e a volte di più, perché il nostro Paese deve riprendere a crescere e dobbiamo fare squadra. Perché è ora di smetterla di dare la colpa agli altri e chiedere un po’ di flessibilità sui conti pubblici. Riprendiamo il controllo del nostro risparmio e utilizziamolo per far crescere la ricchezza e l’economia italiana. A dare l’esempio dovrebbero essere i grandi investitori istituzionali, enti di previdenza, fondi pensione, assicurazioni, fondazioni etc., magari a partire proprio dal mercato dei minibond.