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L’oro è davvero un bene rifugio?

La corsa dell’oro prosegue inesorabile.

Da inizio anno ad oggi il metallo giallo ha registrato un rendimento netto del 17,5%, conquistando un posto tra le migliori asset class sul mercato. Un risultato determinato, a detta di molti, dalle sue tradizionali e conclamate caratteristiche di bene rifugio in momenti di difficoltà. È tutto vero?

Anche graficamente, l’andamento attuale dell’oro nelle sue migliori “partenze” precedenti, enfatizza l’ascesa corrente.

 

Un’analisi sui fondamentali di questo asset ci mostra la strada da percorrere.

I recenti dati del World Gold Council[1] evidenziano una relativa stabilità nella domanda globale: India e Cina restano i mercati predominanti (45% della quota complessiva) mentre si registra un incremento negli acquisti da parte delle banche centrali in cerca di diversificazione delle proprie riserve.

Ed è proprio sulla possibilità di diversificare che si concentrerà la nostra analisi di oggi. Per capire meglio, facciamo un passo indietro e diamo uno sguardo alla correlazione.

Secondo le leggi della statistica, il grado di correlazione tra due variabili può variare da -1 a +1, dove un valore negativo indica che i soggetti in esame si muovono in direzioni opposte, mentre un valore prossimo a zero individua una possibile indipendenza e un valore positivo parla di movimenti in una direzione comune. Se proviamo a calcolare il grado di correlazione tra i rendimenti dell’oro e quelli dello S&P500, otteniamo un valore pari a 0,016, poco utile dunque a chiarire le nostre idee relative alle potenzialità difensive del metallo giallo in caso di malessere del mercato (rappresentato in questo caso dall’indice americano).

Per raggiungere il nostro scopo ci torna utile uno studio in cui vengono testate le presunte qualità del metallo prezioso. Da un’analisi congiunta tra l’andamento dell’oro e quello dei principali indici azionari e obbligazionari (statunitensi, del Regno Unito ed europei) sono emersi importanti risultati. Il seguente grafico (dati a partire dal 1991 ad oggi) ne evidenzia uno: la volatilità dell’oro, indicatrice della sua rischiosità, è di poco inferiore a quella del maggiore indice americano e nettamente superiore a quella del relativo titolo decennale. Un primo campanello d’allarme.

 

Il lavoro confronta l’andamento di un portafoglio (ripartito tra oro, azioni e obbligazioni) secondo diversi orizzonti temporali, nei momenti di maggiore stress. L’evidenza empirica parla chiaro: a seguito di forti tensioni, il portafoglio in cui si è deciso di acquistare oro e detenerlo per circa 15 giorni è riuscito a limitare le perdite, mentre per maggiori intervalli temporali gli effetti difensivi dell’oro vengono lentamente a meno.

Il tutto è confermato anche da un altro nostro post, in cui sottolineavamo come gli effetti difensivi dell’oro fossero evidenti soprattutto nei momenti di maggiore tensione sui mercati azionari, per esempio in concomitanza con lo scoppio di una crisi.

Un bene rifugio, ma solo quando il mare è in tempesta

Le considerazioni finali sembrano evidenti. L’oro si dimostra un bene rifugio da cui trarre il massimo beneficio, ma… con parsimonia. Nelle fasi più acute delle crisi è infatti un asset in grado di contenere le perdite, ma questa “correlazione negativa” viene persa nel momento in cui il mercato inizia la ripresa.

In ottica di gestione di portafoglio è importante quindi sfruttare questa possibilità di copertura, più che cercare di ottenere un rendimento, dato che – lo ricordiamo . l’oro non garantisce alcuna forma di rendimento cedolare o da dividendo, trattandosi di una materia prima.

 

[1] http://www.gold.org/supply-and-demand/gold-demand-trends

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