La tenuta finanziaria del Belpaese è messa sotto pressione dalla crisi energetica e dalla linea restrittiva adottata dalla Banca centrale europea per contrastare l’inflazione. E la classe politica italiana non sembra riuscire a rimettere in sesto l’economia. In una simile situazione, se l’Ue si rifiutasse di correre di nuovo in nostro soccorso con un piano di salvataggio, Roma potrebbe decidere di chiedere aiuto alla Cina.
A esplorare questa tesi suggestiva – che noi vi riproponiamo, tra il serio e il faceto, come (provocatorio) spunto di riflessione – è Enrico Colombatto, professore di Economia all’Università di Torino e direttore della ricerca presso l’Institut de recherches economiques et fiscales (Iref) di Parigi.
Se l’Italia volge lo sguardo a Est
“Storicamente, i leader russi hanno ripetutamente indicato l’Italia come l’anello debole del blocco occidentale, una definizione non del tutto ingiustificata. Per esempio, il sostegno finanziario e militare dell’Italia all’Ucraina è stato modesto, mentre l’opinione pubblica italiana è relativamente favorevole alla Russia”.
L’Italia, prosegue l’esperto, sta cercando di rafforzare i suoi legami con la Cina, anche se i frutti economici sono stati finora modesti”, scrive l’esperto di politica internazionale in un articolo apparso su Gisreportonline.com.
C’è poi da tenere in considerazione il fatto che “l’economia italiana è fragile: il Prodotto interno lordo è stagnante dal 2008, la produttività non è aumentata negli ultimi 25 anni e il debito pubblico è superiore al 150% del Pil (contro una media Ue è dell’88%)”.
Insomma, stando a Colombatto per il nostro Paese la situazione è critica e questo per l’Europa potrebbe essere un problema. Parallelamente, Roma starebbe strizzando l’occhio a Oriente, in modo neanche tanto velato.
Una posizione ambigua
Va detto, prosegue l’esperto, che la visione strategica dell’Italia è piuttosto incerta. “All’inizio del 2019, il governo guidato dall’allora primo ministro Giuseppe Conte ha annunciato l’obiettivo di rafforzare i legami con Pechino e, poco dopo, ha accolto un’enorme delegazione cinese a Roma. Nonostante le critiche del resto dell’Unione europea e degli Stati Uniti, il governo di Conte ha aperto l’Italia alle iniziative della Belt and Road di Pechino e si è impegnato per attrarre investimenti esteri cinesi in Italia”.
Tanto che, alla fine del 2019, la presenza cinese nelle industrie finanziarie ed energetiche italiane era significativa. Le cose però sono cambiate quando Mario Draghi è subentrato a Conte alla guida del Paese.
Negli ultimi due anni, infatti, l’ex presidente della Bce nel ruolo di presidente del Consiglio italiano ha chiarito che, sebbene la Cina resti un partner commerciale importante, gli interessi economici del Belpaese rimangono saldamente ancorati all’Occidente. In linea con questo approccio, il governo Draghi ha bloccato diverse acquisizioni proposte da Pechino, raffreddando di fatto l’infatuazione dell’Italia nei confronti del Dragone.
Nel frattempo, come sappiamo, è arrivato il Covid, che ha giocoforza ulteriormente allentato i rapporti.
Ora che Draghi ha fatto un passo indietro e in Italia si sta aprendo una nuova fase politica, “è difficile dire quale sarà la posizione del nuovo governo di centrodestra, guidato da Giorgia Meloni, nei confronti della Cina”, dice Colombatto.
Tre aree di interesse in ambito finanziario
Sul campo economico-finanziario, che è poi quello fondamentale, ci sono tre aree strategiche per i rapporti Roma-Pechino. La prima riguarda gli investimenti esteri diretti, di cui l’Italia avrebbe bisogno e che invece nel nostro Paese scarseggiano. “I partner cinesi potrebbero aprire nuovi spazi per l’export italiano, contribuire ad accrescerne le dimensioni e offrire alle imprese italiane migliori opportunità di ottenere semilavorati a basso costo”.
Quanto all’entità dei flussi commerciali – seconda area di possibile interesse – essa è piuttosto limitata e conferma che l’Italia non è un partner commerciale significativo per la Cina. Viceversa, sottolinea l’esperto, la Cina è il quarto maggior fornitore del nostro Paese.
Il malcontento monta a Francoforte e Bruxelles
Infine, c’è l’area della finanza pubblica. “Come già detto, il debito pubblico italiano è fuori controllo e il Paese sarebbe già in bancarotta se la Banca centrale europea non fosse intervenuta acquistando massicce quantità di titoli di Stato italiani a un prezzo piuttosto elevato”. Insomma, “l’Italia andrebbe in default se le autorità europee smettessero di finanziare il suo debito pubblico”, dice Colombatto. E qui veniamo al dunque.
“Il malcontento riguardo alla sregolatezza italiana sta silenziosamente crescendo a Bruxelles e a Francoforte”, dice l’esperto. “E i mercati sembrano sempre meno desiderosi di acquistare le obbligazioni italiane, il cui rendimento corretto per l’inflazione è profondamente negativo”.
Pechino nel ruolo di Cavaliere bianco?
In questo contesto, “la Cina potrebbe offrire all’Italia l’aiuto finanziario di cui ha bisogno, oppure l’Italia potrebbe convincere i governi occidentali a venire ancora una volta in suo soccorso, impedendo così a Pechino di fare la parte del cavaliere bianco. Un ruolo per cui comunque, dice Colombatto, il Dragone si farebbe pagare profumatamente”.
In che modo? Se è vero che la Cina non punta a stabilire una capacità produttiva significativa in Italia, è anche vero che Pechino ha ripetutamente mostrato un forte interesse ad avere un punto d’appoggio sulla costa adriatica italiana, in particolare a Trieste. Questo potrebbe essere il prezzo chiesto a Roma per convincere la Cina a finanziare la sua dissennata finanza pubblica”.
Insomma, conclude Colombatto; “la Cina ha le risorse e la visione strategica per tendere una mano (seppur predatoria) all’Italia. E i leader italiani potrebbero tranquillamente cedere”.
Andrà davvero così? Possiamo solo aspettare e stare a vedere. Voi cosa ne pensate?
Alberto / Ottobre 14, 2022
E’ vero che i soldi non puzzano e che, quando si tratta di investire all’estero o, al contrario, di attrarre capitali dall’estero, spesso non si va troppo per il sottile e non si guarda se uno Stato rispetta i diritti umani oppure no.
Ma la Cina soffoca con la violenza ogni dissenso al suo interno, non accetta critiche (bollandole come “indebita ingerenza nei suoi affari interni”) e attua una politica estera arrogante e predatoria in spregio dei diritti e della libertà altrui (vedi Taiwan, ad esempio, giusto per citare un solo caso).
Sarebbe quindi meglio per l’Italia di evitare di legarsi mani e piedi alla Cina, diventandone così schiava e perdendo la sua indipendenza in fatto di politica estera.
Alla larga!!!
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