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L’enorme equivoco di Signal: quando i mercati perdono il lume della ragione

La fretta, si sa, è una cattiva consigliera. A maggior ragione se la si mescola con una buona dose di irrazionalità e si utilizza questo cocktail letale per prendere decisioni di investimento. Certo che, se c’è dietro una specifica “dritta” arrivata niente meno che da Elon Musk, allora tenere i nervi saldi (e il portafoglio chiuso) diventa più difficile. Eppure, forse sarebbe stato il caso di andarci piano.

 

Di cosa stiamo parlando?

Della “febbre” scatenatasi qualche giorno fa sui mercati, dopo che il fondatore di Tesla ha consigliato ai suoi 41,4 milioni di utenti su Twitter di passare all’app di messaggistica Signal. Il tweet di Musk è in aperta polemica con WhatsApp, che nei giorni scorsi ha notificato un cambiamento dei termini di utilizzo dell’app a partire dal prossimo 8 febbraio (tra cui una maggiore condivisione dei dati con Facebook), senza alcuna possibilità di scelta da parte l’utente.

“Use Signal”, ha dunque cinguettato Elon Musk, scatenando una valanga di download dell’applicazione di messaggistica rivale di WhatsApp, che fa proprio della privacy il suo punto di forza. Ma oltre ai download, il tweet ha dato il via a una corsa agli acquisti in Borsa del titolo Signal Advance, che nella sola giornata di lunedì 11 gennaio ha registrato un balzo del 438%, portando il guadagno complessivo a +6.350% da giovedì 7 gennaio, giorno in cui il fondatore di Tesla ha pubblicato il post. Vedere per credere.

 

Una cantonata collettiva

C’è solo un piccolissimo problema: il titolo Signal Advance non ha niente a che fare con l’app Signal – che tra l’altro non è nemmeno quotata in Borsa. Signal Advance Technologies è una piccola società scambiata sul mercato over the counter, attiva nel settore della tecnologia applicata all’healthcare: nel giro di qualche ora, ha visto lievitare il valore delle sue azioni da 60 centesimi di dollari a 38,7 dollari.

 

Effetto gregge e FOMO in azione

Ma è stato tutto un enorme equivoco, dettato proprio dalla fretta degli investitori, affamati di rendimento e ansiosi di salire sul carro dei vincitori. Ricordate la sigla FOMO, acronimo di “Fear of Missing Out”? È esattamente quello che si è verificato: per paura di perdere l’occasione, gli investitori si sono riversati sul titolo senza prendersi la briga di verificare. E una volta partito il rally, sicuramente si è innescato anche quell’effetto gregge che porta le persone a fidarsi più degli altri che di se stessi.

Per mettere fine a questo delirio (e far sgonfiare nuovamente le quotazioni della società texana), la stessa app Signal ha avvertito gli investitori dell’errore che stavano commettendo, spiegando su Twitter di non avere nulla a che vedere con Signal Advance.

“Sembra che la gente voglia investire nella crescita record di Signal, ma non siamo noi. Siamo una 501c3 indipendente e il nostro unico investimento è la vostra privacy”.

Non è la prima volta che gli investitori prendono una cantonata colossale e collettiva: una cosa simile era successa nel 2019, quando ci fu un’ondata di acquisti su Zoom Technologies, che però non aveva niente a che fare con Zoom Video Communications, il servizio di condivisione video che tutti abbiamo imparato a conoscere nel corso della pandemia.

Insomma, il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

WhatsApp vs Signal

Tornando alla polemica su WhatsApp, c’è da dire che l’aggiornamento dei termini, almeno per il momento, non dovrebbe avere alcun effetto per gli utenti europei. In Europa, Facebook non condividerà dati a fini pubblicitari con nessuna azienda, come ha dichiarato Niamh Sweeney, direttore della policy di WhatsApp per l’Europa.

E Signal? Signal Private Messenger è stata fondata nel 2013 da una fondazione senza scopo di lucro, e si basa sulla crittografia end-to-end per proteggere i messaggi. Teoricamente, dovrebbe essere più attenta alla privacy rispetto a WhatsApp. Infatti, l’app non ha modo di accedere ai contenuti di messaggi e chiamate. La cronologia dei messaggi rimane in memoria esclusivamente sui dispositivi degli utenti e non sui server.

 

Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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