Alla fine è successo: nella notte tra mercoledì 23 e giovedì 24 febbraio la Russia ha invaso l’Ucraina. Sembra fantascienza, ma è realtà. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha detto che l’obiettivo è “demilitarizzare e de-nazificare l’Ucraina” e ha intimato ai Paesi stranieri di evitare interferenze, o ci saranno conseguenze mai viste.
Immediata la reazione della comunità internazionale, dal presidente americano Joe Biden all’Unione Europea: “l’attacco russo è inaccettabile e ingiustificabile. La risposta sarà forte”. Insomma, è iniziata quella che si prefigura come la più vasta guerra in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale. E le conseguenze in termini di vite umane potrebbero essere drammatiche.
Lasciando i commenti e le analisi sulla situazione agli esperti di geopolitica, noi ci concentriamo in questa sede sull’aspetto finanziario dell’intera vicenda. La reazione “a caldo” dei mercati è stata prevedibilmente di panico: le borse di tutto il mondo si muovono in ribasso nella giornata di giovedì. Ma proviamo a chiamare in aiuto la storia per capire meglio il comportamento tipico dei mercati di fronte a un conflitto.
Il panic selling dettato dalle crisi geopolitiche tende a durare poco
I conflitti non sono mancati negli ultimi decenni – pensiamo alla guerra americana in Corea all’inizio degli anni ’50, o alla prima guerra del Golfo negli anni ’90, o ancora alla più recente Primavera Araba e al conflitto in Afghanistan. Essi scoppiano sia in fasi di mercati “Toro”, sia in periodi di mercati al ribasso.
Il denominatore comune, che balza agli occhi guardando ai comportamenti delle Borse nel corso della storia, è che l’escalation della tensione geopolitica tende a tradursi in una volatilità solo di breve termine. Tipicamente, a pesare sul rendimento delle azioni è l’incertezza precedente lo scoppio del conflitto più ancora del conflitto in sé. Questo perché, come sappiamo, quel che più manda in tilt i mercati è proprio l’incertezza.
L’escalation ha portato gli analisti a mettere insieme delle analisi di scenario su quanto male potrebbe andare per le azioni globali. Finora sembra essere tra il 5% e il 10% di ribasso su un periodo di circa tre settimane, a seconda del Paese e del settore.
La società d’investimento CFRA ha inoltre analizzato la reazione del mercato statunitense in occasione di 24 eventi geopolitici avvenuti dopo la Seconda Guerra Mondiale e il risultato parla chiaro: l’indice S&P 500 ha perso in media il 5,5% dal picco massimo precedente fino al punto minimo toccato in seguito a questi eventi. Insomma, il panic selling dettato dalle crisi geopolitiche tende a durare poco. Nello specifico, il mercato ci ha messo in media 24 giorni dall’inizio del conflitto per raggiungere il punto minimo. Ma ha recuperato le perdite accumulate, in media, nei 28 giorni successivi.
Il nodo della crisi energetica
C’è da dire però che le tensioni in Europa orientale sono legate a doppio filo con un tema di primissimo piano per l’Europa: le forniture energetiche. Guarda caso, la Russia è infatti la principale esportatrice di gas naturale verso il Vecchio Continente e, ben consapevole della sua posizione di forza, già in passato non ha esitato a usarla come arma per fare pressioni sul piano geopolitico, centellinando le forniture e facendo lievitare i prezzi.
Le imprese dell’Eurozona, che già nel 2021 hanno dovuto fare i conti con una bolletta energetica più che raddoppiata rispetto al 2020, faticheranno ad assorbire un’ulteriore fiammata. Insomma, fino a quando la situazione non si stabilizzerà e la diplomazia potrà tornare nuovamente a lavorare per una risoluzione politica della crisi, la volatilità sui mercati potrebbe restare comunque elevata proprio in relazione ai prezzi dell’energia – che a loro volte alimenteranno ulteriormente le spinte inflazionistiche.
A questo punto, osserva un gestore di una nota casa di investimento, c’è molta attesa anche per le reazioni delle principali Banche Centrali: se da un lato, come detto, l’aumento dei prezzi delle materie prime spingerà in alto l’inflazione, dall’altro una stretta monetaria aggressiva diventa sempre meno probabile in una situazione di mercato già incerta. Se la crisi dovesse protrarsi a lungo, potremmo dover mettere in conto un impatto negativo sulla crescita economica, in particolare dell’Eurozona, prosegue l’esperto.
E i mercati Emergenti?
Fin qui abbiamo parlato delle possibili ripercussioni del conflitto sui mercati sviluppati. Ma che dire degli Emergenti, tra cui figura la stessa Russia?
“È importante ricordare che l’indice MSCI Emerging Markets si è notevolmente modificato. La Russia costituisce solo il 2,8%. Cina, Taiwan, Corea e India insieme costituiscono il 72% dell’indice, e sono tutti importatori di petrolio”, rileva un esperto di un’altra società di gestione
Il problema maggiore per gli emergenti riguarda il prezzo del petrolio, con il Brent già schizzato a un passo dai 100 dollari al barile dopo l’annuncio dell’invasione. “Le sanzioni alla Russia potrebbero portare a un aumento dei prezzi del petrolio e a un aumento generale dei premi al rischio delle azioni dei mercati emergenti. Questo sarebbe positivo per l’Arabia Saudita e per i titoli petroliferi degli emergenti nel complesso, ma negativo per l’Europa orientale. Nel complesso, i prezzi del petrolio più alti agiscono anche come una tassa sul Nord-Est asiatico, poiché molte industrie hanno problemi con il passaggio a prezzi del petrolio più alti”.
Morale della favola: mantenere i nervi saldi e il focus sui propri obiettivi
Insomma, un po’ di volatilità è da mettere in conto, a maggior ragione se si pensa al tema energetico. Si spera che il conflitto possa rientrare in tempi brevi e che i mercati riescano a ritrovare stabilità rapidamente, com’è successo in passato. Ma la situazione è in continua evoluzione e fare previsioni, in questo momento, è impossibile. Il consiglio, per gli investitori, resta sempre lo stesso: mantenere i nervi saldi e non perdere di vista i propri obiettivi di lungo periodo. I mercati sanno come riprendersi da una crisi e il rischio geopolitico non in cima alle loro preoccupazioni.
Per usare le parole di Sam Stovall, chief investment strategist di CFRA, in una nota agli investitori, “i mercati azionari temono più le ricadute della guerra condotta dalla Fed contro l’inflazione che le conseguenze dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”.