La Cina è incappata nella “triade incompatibile”: l’impossibile tentativo di conciliare cambio fisso, libera movimentazione dei capitali e politica monetaria autonoma. Con evidenti problemi.
Recentemente il governatore e alcuni funzionari della banca centrale cinese hanno dichiarato che una svalutazione significativa dello yuan non è in programma. Ma è questa una buona strategia? E soprattutto: la banca Centrale cinese risulterà credibile nella difesa della propria parità centrale?
La situazione attuale
Il terremoto finanziario che ha colpito il mercato azionario cinese nell’estate del 2015 ha portato a una forte svalutazione (-3,04%) del renminbi nei confronti del dollaro.
Questa svalutazione è stata interpretata dai mercati come un segnale di rallentamento dell’economia cinese superiore alle attese e come un tentativo da parte della banca Centrale di sostenere la domanda aggregata attraverso le esportazioni.
L’obiettivo
In effetti, il tentativo delle autorità cinesi è quello di:
- gestire la difficile fase di transizione da un modello di crescita basato sull’industria ed il commercio ad uno fondato sui servizi e la domanda interna
- supportare la crescita economica in questa fase di transizione con una politica monetaria espansiva
- continuare il processo di riforme e di apertura internazionale al mercato dei capitali.
Ma è difficile, se non impossibile riuscire nell’impresa di mantenere un cambio fisso, e simultaneamente, consentire la libera movimentazione dei capitali (terzo punto) mantenendo però una politica monetaria autonoma (secondo punto). Una triade incompatibile (inconsistent triad) che ha finito per esporre il Paese al rischio di una svalutazione significativa.
“China can’t fix its exchange rate, set independent monetary policy and allow free capital controls. The necessary monetary policy may make a currency reduction inevitable”.
L. Summers, ex segretario al Tesoro degli Stati Uniti.
Il trio incompatibile
In molti corsi di economia internazionale all’università si studia il modello di Mundell-Fleming, che continua a fornire un utile schema per la conduzione della politica economica. Secondo questo modello, in presenza di una elevata mobilità internazionale dei capitali, un aumento della base monetaria (che determina un incremento della quantità di moneta) esercita una pressione al ribasso sul saggio d’interesse interno rispetto a quello estero, provocando un immediato deflusso di capitali e deficit della Bilancia dei Pagamenti.
Il deficit di Bilancia dei Pagamenti genera a sua volta un deprezzamento della valuta nazionale rispetto a quella estera, spingendo la banca Centrale a intervenire per difendere la parità centrale del cambio. L’istituto Centrale è quindi costretto ad acquistare valuta nazionale e cedere valuta estera il che dà luogo al riassorbimento della liquidità inizialmente immessa. In altri termini, la banca centrale non è in grado di controllare l’ammontare di base monetaria nel sistema.
Tuttavia, se la banca centrale persiste nel tentativo di controllare l’offerta di moneta accrescendo lo stock, le manovre di sterilizzazione dei saldi negativi della Bilancia dei Pagamenti comportano una progressiva riduzione delle riserve internazionali detenute ed inevitabilmente l’impossibilità di difendere la parità del cambio.
Il problema insolubile
Da questi due casi considerati è chiaro come il Paese si trova nell’impossibilità di avere più di due dei tre componenti del trio. Ed è proprio questo il conflitto che si trova ad affrontare la banca Centrale cinese.
Infatti, con una crescita economica più lenta, che vede come principale risposta di politica macroeconomica un atteggiamento monetario espansivo, l’economia cinese non è in grado di offrire interessanti opportunità d’investimento ai risparmi interni, che tendono quindi ad uscire dal Paese.
Come abbiamo detto, la fuoriuscita di capitali verso l’estero sta generando un deprezzamento del cambio e una progressiva riduzione delle riserve ufficiali della Banca centrale (nel corso dell’ultimo anno e mezzo le riserve cinesi sono scesi di 700 miliardi di dollari): di qui il rischio di una significativa svalutazione dello yuan.
Ecco quindi il trilemma (o conflitto) in azione: se la Cina vuole usare la politica monetaria per sostenere la domanda interna in questa fase di transizione e nel contempo non vuole porre restrizioni al movimento internazionale dei capitali, allora non sarà in grado di difendere il cambio.
Quali possibili soluzioni?
In questa situazione, la Cina potrebbe adottare diversi approcci:
- Lasciare che lo yuan si svaluti. Una svalutazione graduale e attesa dello yuan potrebbe accelerare la fuoriuscita di capitali verso l’estero. Invece, una svalutazione sufficientemente ampia della valuta nazionale consentirebbe di fissare le aspettative sul cambio, ma potrebbe indebolire ulteriormente le economie emergenti ed il mondo industrializzato, caratterizzato da tassi d’interessi negativi. Inoltre, una forte svalutazione dello yuan potrebbe causare deflazione nel resto del mondo ed essere controproducente per la stessa crescita economica cinese.
- Fermare il processo di liberalizzazione dei capitali. Se la Cina mettesse delle barriere alla libera circolazione dei capitali, come sostenuto dal FMI e dalla Banca del Giappone (BoJ), non solo frenerebbe la corsa del renminbi a valuta di riserva internazionale, ma le stesse restrizioni potrebbero essere facilmente eluse decretando l’inefficacia di queste misure.
- Abbandonare la politica monetaria espansiva.
- Promuovere una politica fiscale volta ad aiutare la fase di transizione economica. Per esempio studiando un più forte sistema di sicurezza sociale. In presenza di libera movimentazione internazionale dei capitali e regime di cambio fisso, la politica fiscale risulta più efficace rispetto alla politica monetaria espansiva. Infatti, una politica fiscale espansiva mirata, permetterebbe di supportare la domanda interna, senza generare un deflusso di capitali ed incappare nella triade incompatibile. In questo modo la Cina sarebbe in grado di perseguire obiettivi di crescita di breve periodo e di riforma economica di lungo periodo.
In conclusione, la pratica e la teoria economia suggeriscono quest’ultimo approccio come il più efficiente per l’economia cinese. E in effetti i recenti segnali di politica economica del Dragone sembrano andare proprio in questa direzione.