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Infografica: tutti i numeri delle pensioni italiane

Il governo è impegnato ad analizzare la questione della flessibilità a partire dalla Legge di Stabilità e compatibilmente con il quadro di finanza pubblica.

Così il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha parlato di flessibilità in uscita nelle pensioni davanti alle Commissioni riunite Bilancio e Lavoro di Camera e Senato il 24 settembre 2015, precisando che “ogni cambiamento del sistema pensionistico va attentamente valutato”, a partire dall’impatto sui conti.

La questione della flessibilità dell’età pensionabile è stata rilanciata a più riprese anche dal presidente dell’Inps Tito Boeri. Ma qual è la situazione delle pensioni italiane? Come possono essere migliorate, sia dal governo che da te, in prima persona?

Il sistema pensionistico italiano

Il sistema pensionistico italiano dal 2011 è di tipo NDC (Notional Defined-Contribution scheme), ossia la pensione dipende dai contributi versati per tutti i lavoratori entrati nel mercato del lavoro dal 1996 in poi. I contributi versati annualmente sono rivalutati in base al tasso di crescita del PIL degli ultimi 5 anni. Dopo la crisi finanziaria del 2008, nel 2014 per la prima volta questo tasso di rivalutazione è diventato negativo.

Si sente spesso dire che le pensioni degli italiani sono basse in valore assoluto. Ma il loro valore relativo rispetto allo stipendio resta alto: al netto delle tasse, il lavoratore mediano italiano percepisce una pensione pari all’82% dell’ultimo stipendio, contro una media Ocse del 69,1%.

Il fatto che le donne percepiscano stipendi inferiori rispetto agli uomini durante la loro vita lavorativa, fattori demografici (le femmine hanno maggiore speranza di vita dei maschi) e il divario tra Nord e Sud Italia spiega le differenze di genere e territoriali delle pensioni. Le vediamo nell’infografica.

Cosa può fare l’Italia per le pensioni

Il Melbourne Mercer Global Pension Index, che valuta l’adeguatezza, la sostenibilità e l’integrità del sistema pensionistico nazionale, assegna all’Italia un punteggio pari a 49,4 su 100. Secondo il rapporto, il sistema pensionistico italiano ha delle caratteristiche desiderabili ma, al contempo, anche grossi punti di debolezza da affrontare, pena l’efficacia e la sostenibilità del sistema stesso. In particolare, è quest’ultima a latitare in Italia, con un punteggio di 13,4 su 100: il valore più basso tra tutti i 25 paesi presi in esame.

Per l’Ocse invece il progressivo innalzamento dell’età pensionabile ha messo al sicuro la sostenibilità del sistema pensionistico, ma le spese restano ancora troppo alte. Nel 2013 l’Italia è stata al secondo posto nell’area Ocse per spesa pensionistica in percentuale del Pil. Il finanziamento del sistema è oltremodo messo sotto pressione dall’invecchiamento della popolazione italiana.

Sempre l’Ocse rileva anche il rischio povertà per i pensionati con lavori precari, malpagati, in nero oppure che subiscono frequenti interruzioni (a questo proposito, abbiamo già fatto notare che i rischi maggiori sono a carico dei giovani italiani). L’organizzazione parigina consiglia, quindi, anche di adottare delle politiche che migliorino le opportunità di impiego e rafforzino il mercato del lavoro.

Infine, l’Ocse teme che un’ulteriore riduzione delle pensioni sarà opera di due misure del Governo Renzi: il TFR in busta paga e l’inasprimento della tassazione sui fondi pensione dall’11,5% al 20%.

Cosa puoi fare tu per la tua pensione

Tutti questi dati e una nostra simulazione sulle pensioni portano a un’unica conclusione: non è più possibile affidarsi all’Inps per godere di una pensione (primo pilastro della previdenza). Occorre integrarla con:

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Ultimi commenti
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    oh oh guardate un po’ dove si concentra la spesa….la polpa al Nord,gli ossi al Sud (pensioni di invalidità, assistenzialismo puro che oggi chiameremmo reddito di cittadinanza)

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      i dati esposti dicono anche che ci sono sei milioni e 900 mila pensionati che prendono due pensioni. sarebbe carino ci venisse raccontato come. ipotesi: una bella fetta sono le pensioni di accompagnamento e quelle di reversibilità. una precisazione: spesso nel linguaggio corrente si chiamano erroneamente pensioni di invalidità quelle che propriamente sono le pensioni di inabilità, erogate a domanda quando il soggetto non è più in grado di lavorare. occorrono solo 5 anni di contributi, altro che pensioni baby!condivido pienamente il giudizio del lettore Crocco su chiamarle reddito di cittadinanza. ritengo che quando l’inabile raggiunge l’età della pensione di vecchiaia, la pensione d’inabilità si trasformi automaticamente in pensione di vecchiaia. però non sono sicura. se è così i dati sulle pensioni assistenziali sono falsati. secondo il fatto sono . 2,88 milioni,con un grande incremento nel periodo di crisi. anche le pensioni di reversibilità sono nate come assistenziali, siccome venivano erogate solo alla moglie e ai minori, in seguito anche all’altro coniuge, non seguendo le leggi di successione.

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      manca il dato di quanto ci costa l’assistenzialismo rispetto al pil e qual’è la media ocse…divertente inoltre il rosso degli ex dirigenti d’azienda, (si fa per dire ). sempre in base a quanto pubblicato dal fatto. i dipendenti in attivo pagano la pensione ai loro dirigenti in passivo. poi si sentono dire: adesso fattene una privata. le statistiche bisogna esaminarle tutte per avere una comprensione

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    ne abbiamo piene le scatole di queste organizzazioni sovranazionali che non abbiamo votato. ma perchè devo fare media con paesi poveri come la turchia e l’estonia?

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