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#IlGraffio: se la riforma delle banche di credito cooperativo è imposta

Dopo le banche popolari, anche quelle di credito cooperativo (BCC) devono prepararsi a una riforma.

Per Banca d’Italia sono necessari interventi normativi per favorire l’integrazione, che “è un obiettivo non più rinviabile”, “favorire un sistema meno frammentato, capace di superare gli svantaggi della piccola dimensione e di preservare i valori della cooperazione e della prossimità con il territorio che da sempre costituiscono il loro punto di forza”. La riforma delle BCC è stata quindi proposta da Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e Banca d’Italia.

Cosa sono le banche di credito cooperativo

Le banche di credito cooperativo sono 376 (il 55% delle banche italiane), hanno 4.441 sportelli (il 14% degli sportelli), 1,2 milioni di soci (che votano secondo il principio “una testa, un voto”), 37mila dipendenti, garantiscono il 7,3% del mercato degli impieghi, con 135 miliardi di impieghi erogati (il 7,5% dei prestiti del sistema bancario). Mentre il tasso di passaggio a sofferenza si attenuava per le banche maggiori e medie, per le BCC è invece aumentato ulteriormente dal 3,6% di dicembre 2013 al 3,9% a fine 2014, e i crediti anomali sul totale dei prestiti sono saliti dal 10 al 17,5% tra giugno 2011 e giugno 2014.

Cosa prevede la bozza di riforma delle banche popolari

La bozza della riforma all’articolo 37 bis prevede la creazione di una società  capogruppo, costituita in forma di società per azioni e autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria, il cui capitale è detenuto per almeno un terzo dalle BCC stesse (appartenenti al gruppo), con la capogruppo che esercita attività di direzione e coordinamento sulle BCC. Federcasse (l’associazione delle BCC) vuole preservare l’unità ( integrazione a gruppo ); ICCREA (la banca di secondo livello che fornisce servizi e prodotti alle numerose banche del sistema) si propone come unica holding nazionale, con ma l’adesione volontaria (e non obbligatoria) delle singole BCC.

Tra i punti oggetto di confronto:

  • l’apertura del sistema a capitali esterni (anche esteri), destinati a ricapitalizzare la capogruppo;
  • la possibilità di introdurre garanzie incrociate tra le diverse BCC, in modo che – in caso di emergenza – quelle più patrimonializzate possano andare in soccorso di chi si trova in difficoltà;
  • la governance: il sistema è per molti aspetti barocco, così la riforma sarà l’occasione per “asciugare” gli organi dei vari livelli.

Il nodo gordiano sembra essere quello della capogruppo: una sola (come ICCREA), oppure una pluralità (assecondando spinte centrifughe e campanili).

Tutti, a parole, vogliono che il sistema delle BCC possa competere in un mercato più integrato e concorrenziale, contribuendo validamente alla ripresa delle economie di riferimento, attraverso un riassetto più incisivo, che consenta di conseguire al più presto l’ammodernamento della gestione, il rafforzamento strutturale della redditività e la capacità, ove necessario, di reperire risorse patrimoniali anche consistenti in tempi brevi.

Ma le BCC servono al sistema industriale italiano? Hanno un futuro, e come possono “giocare” a favore delle PMI locali? Possono essere un valido concorrente alle grandi banche per la loro vicinanza alle PMI?

Quale ruolo per le banche di credito cooperativo in Italia?

L’Italia è un paese fatto di piccole imprese, meno di grandi; banche a dimensione delle imprese piccole e medio-piccole sembrerebbero quindi ottimali.

Ma per far banca (quella che eroga prestiti) servono capitale, depositi da clientela, capacità di valutare il credito, costi adeguati alla tipologia di attività perseguita.

Le BCC, individualmente, hanno poco capitale e quindi limitata capacità di credito, sia in valore assoluto (l’ammontare del prestito) che relativo (in proporzione del proprio patrimonio, in una ottica di diversificazione e limitazione della concentrazione del credito): una loro adeguata capitalizzazione è quindi utile ed indispensabile per dare loro peso nel mercato delle PMI. Il costo dei mezzi raccolti (capitale, depositi da clientela, prestiti interbancari) è una funzione importante per la determinazione del “prezzo” a cui vendere la loro merce: i prestiti ai clienti.

E per prestare bene, limitando i prestiti anomali (che diventano spesso sofferenze che erodono il capitale), serve una adeguata capacità di valutare il merito di credito di chi chiede un prestito. Essere vicini ai clienti sul territorio aiuta a conoscerli, a vedere che fanno e come lo fanno, e molto spesso le BCC, radicate sul territorio, possono farlo meglio dei colossi bancari. Ma non sempre essere vicini è sufficiente per comprenderne il business e le sue prospettive. Mettere insieme queste attività, facendo leva su un unico centro di eccellenza può essere una buona cosa.

La soluzione della capogruppo (una, o più) del sistema BCC appare per quello che è: una soluzione imposta dall’alto, e quando la Banca d’Italia chiede, è difficile dire di no (vedi anche la riforma delle banche popolari).

Ma a me sembra una opera titanica, destinata a tempi, cadenze, compromessi che ne faranno la classica Babele con la base in stile impero e la facciata rococò, quando i concorrenti svettano sopra le guglie della Madonnina.

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