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#IlGraffio: privilegi e difficoltà della quotazione di Poste Italiane

La strada verso la quotazione del 40% di Poste Italiane, nonostante proclami promesse e colorate slide in formato PowerPoint,  è lastricata di ostacoli, derivanti dal coacervo di attività messe sotto la sigla PI (Poste Italiane). La società non è solamente una posta, ma si occupa di tre business diversi:

  1. il servizio postale tradizionale (recapito corrispondenza, pagamento di bollettini postali e bollette e la gestione dei conti postali, per tutti i cittadini, in migliaia di comuni) che nel primo semestre 2015 ha rappresentato il 12,2% del fatturato di Poste (era il 13,9% nel primo semestre 2014);
  2. servizi finanziari (16,8% vs17,8% nel 2014) e assicurazione vita (70,3% vs 67,6%);
  3. altri servizi (0,8% vs/0,7%).

 

Un trend storico di progressiva riduzione del business tradizionale, a tutto vantaggio di quelli finanziari, che pone domande esistenziali:

La prima: Poste Italiane è diventata una banca, una società di asset management, o un’assicurazione?

In caso affermativo, non dovrebbe essere sottoposta al controllo di Banca d’Italia (che ha sostituito anche ISVAP come controllore delle compagnie assicurative)?

E di conseguenza, Poste gode di una condizione privilegiata nei confronti di concorrenti come banche, SGR di gestione e distribuzione, assicurazioni? Tutto ciò è corretto, o invece è in palese conflitto con le regole che (anche) in Italia ci si è dati nel campo della finanza?

I privilegi di Poste Italiane e gli interessi dei futuri azionisti

Tante e troppe attività, che varrebbe la pena separare in veicoli dedicati, ben prima della quotazione.

Vari sono i nodi che vengono al pettine, e quando sono troppo stretti dirimerli è doloroso: Poste riceve ogni anno, su indicazione di AGCOM che ha definito i criteri per il calcolo del servizio universale (il servizio postale storico), un rimborso da parte statale a opera del Ministero dell’Economia che oscilla annualmente fra 300 e 400 milioni di euro, contro oneri certificati da Poste all’Authority stessa che sono un multiplo, spesso 2-2,5 volte, del rimborso. In termini economici, il servizio universale è in perdita, e ragionevolmente lo sarà ancor più per il futuro (chi spedisce ancora biglietti di auguri ormai sostituiti da sms e email, e lettere e raccomandate sostituite da email e posta certificata?). Se si può comprendere la posizione dell’azionista attuale (il Ministero dell’Economia) di mettere le mele buone con quelle meno buone nello stesso cestino in vista della quotazione, forse i futuri azionisti (privati ed istituzionali) preferirebbero delle Poste senza servizio postale, un settore che sottrae valore alle Poste e non viceversa?

Altro  tema dei temi per il futuro di Poste, quotata o meno, è il rinnovo della convenzione con CDP per la gestione del risparmio postale, che ne fa un unicum fuori mercato (nel senso che non vi è libera concorrenza in tale attività). Anche in questo caso, gli investitori saranno contenti di correre il rischio di perdere, in un futuro forse incerto ma possibile, i benefici della convenzione? E quale valore daranno a questo settore di attività, in sede di valutazione se aderire, o meno, all’IPO?

L’unico business che si adatta al concetto tradizionale di posta è quello del servizio postale, che perde e che si ridurrà progressivamente, ma inesorabilmente, negli anni a venire. Con indubbia lungimiranza, assicurazione vita e raccolta bancaria sono state introdotte per sopperire al declino del settore del recapito, in perdita da anni, sfruttando la capillare rete di sportelli delle poste (molto più vasta di quelle che l’Antitrust permette alle normali banche).

La presenza della commistione di business diversi fa sì che gli investitori non possano soppesare con precisione l’utilizzo delle risorse e l’efficienza dell’organizzazione e nemmeno potranno decidere di licenziare il management se ritenuto incapace, dato che il controllo rimarrà in mano statale. L’azienda, di conseguenza, sarà valutata a un prezzo probabilmente inferiore a quello che se ne trarrebbe mettendo sul mercato in modo separato le diverse entità, con conseguente mancata massimizzazione del valore. Ma quali multipli si adattano alla valorizzazione di Poste? Quelli adottati per Royal Mail o quelli di operatori del mondo della finanza, cui più si avvicina il nuovo corso di Poste? La confrontiamo con Mediolanum, Fideuram, Azimut? O con UnipolSai e Generali?

Se ci mettiamo nei panni degli investitori, ci troviamo dinanzi ad un evidente problema: identificare i comparable con cui valutare la proposta di partecipare all’IPO di Poste.

Per un investitore, diviene essenziale conoscere in dettaglio il piano industriale, settore di attività per settore di attività, di Poste per i prossimi 3-5 anni, con chiarezza sui punti di forza, di debolezza, sulle previsioni di sviluppo del fatturato e di redditività per singola attività, così da comprendere la redditività attesa e prospettica dell’investimento. A maggior ragione, in una operazione che non è una privatizzazione, ma solo l’apertura del capitale a soggetti terzi che resteranno in minoranza con la mano pubblica al comando.

Un ulteriore punto di riflessione (che riteniamo essere un punto debole) è il fatto di mettere sul mercato una società sussidiata, senza prima passare per una preventiva liberalizzazione del settore. I futuri investitori dovranno domandarsi in quale parte la redditività della società sia dovuta effettivamente alla capacità di stare sul mercato e quale ai sussidi statali. La redditività delle Poste si basa su tre pilastri fondamentali, nessuno dei quali è di mercato: compensi pubblici per la raccolta del risparmio, compensazioni pubbliche per il servizio universale e il fatto di svolgere servizi bancari ed assicurativi utilizzando personale che gode di un contratto molto meno favorevole di quello dei bancari. Mettendo sul mercato Poste Italiane nel suo stato attuale si farà pagare agli investitori una redditività che è supportata da benefici che derivano dallo Stato, benefici che risulterà più difficile eliminare proprio in virtù di questo trasferimento.

Le liberalizzazioni e la trasparenza che non c’è in Poste

Un passaggio importante prima di privatizzare la società, dovrebbe essere quello di liberalizzare il settore, cioè aprirlo alla concorrenza in maniera effettiva. Nel caso specifico, servirebbe un taglio dei sussidi diretti e indiretti a Poste Italiane, la rimozione di tutti i vantaggi competitivi e le asimmetrie determinate da una legislazione benevola alla società e una revisione del perimetro del servizio universale. Cosa che con tutta probabilità si sarebbe fatta più agevolmente prima dell’operazione.

Sarà infine molto interessante verificare come le Autorità preposte troveranno il modo di esplicitare e rendere trasparente tutto ciò nel prospetto di quotazione, essenziale per una consapevole scelta di impiego dei propri denari.

Il postino passava a portare le lettere: e tutti lì a sperare che ci fosse posta per noi, e che fossero buone notizie. Passerà ancora?

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Ultimi commenti
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    In ogni caso, a seconda del comparable scelto, mi sembra che Poste sia cmq la peggiore scelta possibile, sia confrontandolo con UnipolSai, sia con Generali, sia con Deutsch Post, sia con Royal Mail, sia con una qualsiasi banca.

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