Chi rompe paga
Oltre 166,6 miliardi di dollari: a tanto ammontano – secondo calcoli ancora parziali – le multe pagate tra il 2009 e il 2013 da una dozzina di grandi banche internazionali, tra cui JPMorganChase, Bank of America, Wells Fargo, Morgan Stanley, Barclays, Ubs, Credit Suisse, Hsbc, Bnp Paribas e Rbs per “chiudere” cause che coprivano reati come riciclaggio di denaro, manipolazione dei mercati (tassi LIBOR, oro e valute) ed evasione fiscale dei clienti statunitensi (fonte: CCP Research Foundation) . Questa cifra si confronta con i 700 miliardi di utili realizzati dall’intero sistema bancario USA nel periodo 2007-2014, secondo il Federal Deposit Insurance Corp. E nel 2014 si sono aggiunte multe per oltre 31 miliardi.
I pagamenti delle multe vanno direttamente nelle casse dello stato americano (per la maggior parte), in base a una regola semplice ed applicata: “chi rompe, paga”. Nello specifico, a pagare sono le banche e i loro amministratori, mentre a incassare sono le autorità; a queste multe si aggiungono poi i costi derivanti dalla risoluzione delle cause avanzate dai singoli clienti, quando ritengono di essere stati raggirati (spesso, attraverso “class action”).
Chi ha messo mano al portafoglio negli USA
Tra le banche che hanno messo mano al portafoglio ci sono Bank of America, che ha sborsato 58 miliardi, JPMorganChase (31,3 miliardi, di cui 13 miliardi per “cattiva condotta” nella gestione di prodotti strutturati sui mutui ipotecari), Citigroup (12,8 miliardi, di cui 7 miliardi sempre per prodotti strutturati sui mutui ipotecari), Wells Fargo (9,7 miliardi). Non solo: circa 70 CEO e decine altri top manager sono stati indagati dalla SEC (l’autorità di controllo dei mercati, che opera in modo assai più “pregnante” dell’equivalente italiano Consob), perseguiti e condannati a pene pecuniarie (la stessa SEC ha indicato la cifra di 3,6 miliardi) e a misure di restrizione personale, incluso il carcere, in alcuni casi.
Come salvare “capra e cavoli”
Nel caso specifico della detenzione illegale di denaro all’estero o di mancata dichiarazione alle autorità, negli USA è prevista una multa che varia dal 27,5% al 50% della somma non dichiarata (una misura multipla di quella applicata nei numerosi e ripetuti condoni italici).
Con questa prospettiva, le banche che in passato hanno consentito pratiche illegali si sono rapidamente attivate per riportare a normalità le numerose anomalie: ad esempio, nel corso del 2015, 64 banche svizzere hanno sinora acconsentito a pagare 742 milioni di “penalty” concordate con le autorità USA per violazioni di legge fiscali sui conti di cittadini statunitensi. Nell’accettare il pagamento delle multe è prassi che le banche optino per una parziale ammissione delle loro responsabilità (una sorta di “lavaggio di coscienza”) addivenendo ad un onorevole compromesso con le autorità americane e salvando così reputazione e licenza bancaria.
E in Italia?
La realtà è diversa nel BelPaese, dove le banche non sono state sinora chiamate a render conto di situazioni mal gestite e contrarie alle leggi, agli usi, alle buone maniere; e lo stesso è accaduto con gli amministratori delle banche, nella grande maggioranza dei casi.
Casi recenti (ma di lunga prassi) balzati agli onori della cronaca ne sono specchio impietoso. I lettori potranno fare confronti, sempre impari, fra i grandi “player” internazionali ed i modesti comprimari italiani e fra le norme USA – per quanto imperfette, vengono applicate con adeguato rigore – e le norme nostrane, distrattamente dimenticate e bistrattate nei rapporti tardivi e lacunosi di improvvisati ispettori delle autorità di (modesto e forse strabico) controllo.