Il primo gennaio 2016 cambieranno le regole europee per i salvataggi bancari, che passano dal bail-out (quelli fatti dallo Stato, con i soldi dei contribuenti) al bail-in (a carico di azionisti, obbligazionisti, alcune tipologie di depositanti). Siccome queste nuove regole entreranno progressivamente in vigore dal prossimo anno, difficilmente potranno coprire le banche greche in caso di Grexit. Ciò detto, vediamo di approfondire di che si tratta, quali banche copriranno, con quali procedure.
Come funziona il bail-out
Sino al caso-Cipro (crisi delle banche cipriote, estate 2012), per le autorità di vigilanza bancaria europee valeva il principio che la crisi di una banca era un evento da affrontare attraverso un intervento della mano pubblica poichè la stabilità finanziaria del sistema, e quindi delle singole banche, deve essere assicurata “whatever it takes”. Da ciò, sono derivati:
- cordone sanitario (moral suasion della banca centrale che chiama una banca amica a rilevare la banca fallita);
- interventi dello stato nell’azionariato delle banche.
In tal senso, sono emblematici i casi come Citigroup negli USA, che hanno immesso $563 miliardi come capitale e assicurati altri $1.800 miliardi come ulteriore garanzia per le banche salvate.
In UK, Lloyd’s e RBS sono state nazionalizzate e ricapitalizzate per £115 miliardi.
La Germania ha speso 47 miliardi di euro per salvare le banche tedesche. Anche Irlanda e Spagna hanno condotto operazioni simili. In molti casi, gli investimenti sono stati restituiti, con profitto per i singoli Stati.
Interventi di questo tipo sono finanziati da fondi pubblici, quindi con soldi dei contribuenti: questo si chiama bail-out.
Come funziona il bail-in
Nel dopo-Cipro, le autorità europee hanno modificato il loro approccio, prevedendo nel secondo pilastro dell’Unione bancaria europea la creazione di un Meccanismo Unico di Risoluzione delle Crisi (SRM) che riguarderà le banche aderenti al Meccanismo di Vigilanza Unica (SSM, gestito dalla BCE). Le banche aderenti sono 200 gruppi bancari (di cui 13 italiani), che rappresentano l’85% degli attivi del sistema (anche se sono solo il 3% del numero delle 3.700 banche europee, che per la restante parte continuano ad essere vigilate dalle autorità nazionali: la Banca d’Italia per il nostro paese).
Saranno gli azionisti delle banche, seguiti nell’ordine dagli obbligazionisti (quanti hanno investito in bond bancari) e dai depositanti (oltre i 100.000 euro di deposito) a pagare il conto dei fallimenti bancari, il tutto entro il limite dell’8% del valore delle passività delle banche (l’8% è, fra l’altro, la percentuale di capitale richiesto alle banche dalle regole di Basilea). Quindi, azionisti e privati copriranno eventuali perdite sino all’8%.
Per interventi sopra l’8%, il terzo pilastro dell’Unione Bancaria europea prevede l’intervento del Fondo Unico di Risoluzione (SRF), che sarà unico per tutta la UE. Il SRF sarà alimentato dai singoli fondi nazionali, ove esistenti e sarà costituito dai singoli Stati con prelievi sulle banche a livello nazionale, con la previsione di una dotazione iniziale di 55 miliardi di euro, da raccogliere in 10 anni (entro il 2025). Si prevede che l’intervento del SRF sia nell’intorno del 5% degli asset della banca in difficoltà. Nel caso questa rete di protezione non fosse sufficiente, potrebbe essere richiesto un intervento dell’ESM, il ben noto fondo salva-stati.
Quali conseguenze per i risparmiatori?
Siamo quindi entrati nell’era del bail-in: da oggi, chi detiene obbligazioni o azioni bancarie, o è un depositante importante (definibile come chi abbia oltre 100.000 euro di deposito e/o certificati di deposito bancari) sa che in caso di fallimento, deve pagare il conto, senza poter chiedere l’intervento dello Stato, o delle sue autorità, invocando la stabilità del sistema.
Condividiamo il “nuovo corso” (nella sua filosofia: i prossimi default diranno se il sistema sarà ben adottato), ma sarà sufficiente per istruire azionisti ed investitori sull’effettivo rischio dell’investimento, togliendo loro la protezione dell’azionista di ultima istanza, che sono tutti i cittadini contribuenti?
Altrettanto rilevante: i manager bancari saranno più attenti nel concedere credito e nell’evitare l’azzardo morale?
Infine, non dobbiamo dimenticare che nel nostro Paese sopravvive la vecchia pratica delle banche italiane di sponsorizzare l’investimento in obbligazioni bancarie, che d’ora in avanti saranno chiamate a coprire i fabbisogni di capitale in caso di insolvenza.
Le rivoluzioni, si sa, sono spesso a metà: se il conto sarà pagato prima da azionisti, obbligazionisti privati e depositanti importanti, i singoli Stati saranno comunque chiamati a dare la loro parte, coi fondi di salvataggio e liquidazione, e poi indirettamente tramite il fondo salva-stati (ESM).
Un consiglio spassionato ai risparmiatori: leggete bene le istruzioni per (il cattivo) uso inserite nei prospetti che vi presentano gli addetti ai lavori, fate domande, non accettate rapide risposte di maniera, studiate, fate calcoli e simulazioni, perché non basta mai la massima attenzione!
Luca Storto / Luglio 9, 2015
Cosa accade a chi, ad esempio, possegga un c/c con saldo inferiore a 100mila, ma un deposito titoli e obbligazioni (non bancarie, quali CCT, BOT, BTP, ecc.) di valore superiore a 100mila euro? Contribuirà al bail-in della banca? Grazie.
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Luca Berardi / Luglio 10, 2015
Le azioni e le obbligazioni (escluse quelle della potenziale banca in default) non contribuiscono alla soglia dei €100.000 oltre i quali scatta il bail-in anche per i correntisti
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