Vi abbiamo lasciati qualche giorno fa con una riflessione su quanto sia difficile relazionarsi con gli aspetti più astratti del concetto di denaro e su come questo ci porti a creare, per semplificarci la vita, dei veri e propri “conti mentali” (o “mental account”), ai quali ricorriamo – quasi senza rendercene conto – per classificare le nostre spese e i nostri risparmi.
Siamo tornati su questo tema, che rientra a buon diritto nell’ampio perimetro della finanza comportamentale, perché stanno per scoccare i primi 20 anni da quando, nel 2002, lo psicologo israeliano Daniel Kahneman, insieme a Vernon Smith, vinse il Nobel per l’Economia, segnando la nascita di questa interessantissima branca. In un campo, quello economico, nel quale fino a non molto tempo prima si credeva nel mito dell’Homo Oeconomicus, un Sapiens razionalissimo forgiato da millenni di evoluzione per prendere decisioni sempre esclusivamente logiche e lucidissime. Oggi sappiamo che questo è, per l’appunto, niente di più che un mito.
In realtà la contabilità mentale non è solo una semplificazione un po’ così. Può infatti avere anche una funzione positiva, a condizione che la utilizziamo attivamente per definire meglio i nostri obiettivi e il nostro orizzonte d’investimento. Ci può aiutare, per esempio, a essere più disciplinati. E, quindi, a raggiungere gli obiettivi di investimento che ci siamo prefissati.
Non solo contro: tutti i pro dei conti mentali
C’è da dire, per esempio, che i conti mentali rappresentano un’ottima difesa contro la nostra emotività, la quale spesso e volentieri ci fa commettere errori anche abbastanza costosi. In più, possono diventare, se adoperati con l’ausilio di un consulente finanziario affidabile, un utile strumento di pianificazione finanziaria.
Facciamo un esempio pratico. Immaginiamo di visualizzare il nostro patrimonio attraverso obiettivi concreti come:
- acquistare una casa;
- pagare gli studi ai figli;
- garantirci un reddito soddisfacente nella vecchiaia;
- affrontare le spese correnti;
- investire anche assumendoci una piccola dose di rischio in più.
È molto probabile che, segmentando così il nostro patrimonio, non “sgarriamo” mettendo a rischio il “conto” che deve garantirci una serena vecchiaia oppure l’acquisto di una casa nella quale andare a vivere insieme alla nostra famiglia, che non sta più in 70 metri quadri come quando si era solamente in due.
Al contrario, siamo magari più propensi a rischiare con maggior serenità sul “conto” che serve per pagarci una vacanza last minute. È evidente come, in questo caso, dividere i nostri risparmi in conti separati ci può aiutare ad amministrare i nostri denari con una maggior disciplina.
Gestire i nostri conti mentali: con un consulente è meglio
Se le categorie mentali in cui suddividiamo il nostro patrimonio vengono condivise con un consulente finanziario serio, preparato e di qualità (donna o uomo non fa differenza, conta solo la competenza – e abbiamo pure fatto la rima involontaria), aumentano notevolmente le nostre chance di acquisire una percezione più chiara e nitida dei nostri obiettivi, della nostra propensione al rischio e della durata dell’investimento desiderata.
Le scelte di portafoglio diventeranno così più comprensibili: per esempio, sui conti necessari a fronteggiare spese impreviste andremo a selezionare solo strumenti facilmente liquidabili, mentre sul conto mentale che deve garantirci la pensione metteremo prevalentemente strumenti obbligazionari con scadenza vicina a quando andremo in pensione e, se mancano ancora molti anni, qualche investimento più rischioso volto a migliorare la redditività del portafoglio.
La vera consulenza finanziaria parte da questo – ovvero da una condivisione degli obiettivi di base del cliente – per pianificare a tutto tondo il percorso da seguire per raggiungerli.