Per chi come me è figlio della globalizzazione ed è cresciuto con il mito dell’apertura ai mercati internazionali, i dazi intesi come strumento di politica estera o economica sono, ahimè, molto difficili da digerire.
Eppure, dazi e gabelle fanno parte del DNA della storia economica in cui il libero commercio e il protezionismo si susseguono a fasi alterne. In prospettiva storica il 2018 potrebbe essere l’inizio di una nuova fase contrassegnata da rapporti commerciali discussi a suon di dazi. Potenzialmente potrebbero essere botte da orbi.
La guerra commerciale entra nel vivo
Il comando dell’iniziativa è nelle mani del Presidente Trump, che al motto di “Make America Great Again” ha messo nel mirino i principali partner commerciali: Cina, Canada, Messico, Germania e Corea del Sud. L’amministrazione statunitense è partita in sordina introducendo nuovi dazi su lavatrici e pannelli solari, per poi passare all’acciaio e l’alluminio con la scusa di salvaguardare l’interesse nazionale. La battaglia, è infine entrata nel vivo nel mese di luglio quando la prima tranche di dazi da 50 miliardi contro la Cina sono diventati effettivi.
Al rientro delle vacanze estive la tensione non si è alleggerita: dal 24 settembre circa 200 miliardi di prodotti cinesi sono stati colpiti da nuove tariffe, a cui la Cina ha risposto con un aumento delle tariffe su circa 60 miliardi di prodotti USA. Fino ad ora, la Cina ha risposto alle sanzioni USA colpo su colpo con un mix di nuovi dazi e svalutazione della moneta, ma senza alzare la posta.
L’impatto sul commercio mondiale
L’aumento delle tensioni sul fronte commerciale ha costretto l’agenzia per il commercio mondiale a rivedere le previsioni di crescita per il biennio 2018-2019, che si attestando attualmente intorno al +3,9% nel 2018 e al +3,7% nel 2019. In leggero calo rispetto alla crescita del +4,7% del 2017.
Non c’è nulla di sorprendente in questa revisione, ma sono il frutto di una presa di coscienza annunciata da tempo. Infatti, l’ultimo aggiornamento del “World Trade Outlook” parlava chiaro: la fase di espansione del commercio si è sgonfiata, e i dati sulla produzione e vendita delle auto e sugli ordinativi dell’export anticipano un ulteriore decelerazione.
In una fase di fiacca del ciclo economico, il commercio mondiale può essere una risorsa specialmente per quei paesi che hanno una forte vocazione all’export come la Cina, la Germania o l’Italia. Tuttavia, se le tensioni dovessero accentuarsi o il calo del commercio mondiale diventasse più pesante del previsto, il PIL ne potrebbe risentire. Per il momento gli analisti non hanno rimesso mano alle previsioni per il 2019.