Le misure restrittive introdotte per arginare la crisi sanitaria, con la chiusura prolungata di numerose attività produttive, hanno messo in ginocchio l’economia italiana. Ma gli aiuti varati dalle istituzioni hanno fatto parzialmente da cuscinetto al crollo dei redditi, pur a costo di appesantire ulteriormente il già corposo fardello di debito pubblico, schizzato lo scorso anno a 156,9 miliardi di euro.
Così – certifica Istat – nel 2020 il reddito delle famiglie italiane è diminuito “solo” del 2,8% (-32,0 miliardi di euro).
I consumi? Non ripartono, preferiamo risparmiare
Tutto torna? No, perché a fronte di un calo dei redditi tutto sommato contenuto, il potere d’acquisto, che è il reddito disponibile espresso in termini reali, è diminuito del 2,6%, interrompendo una dinamica positiva in atto dal 2014. E i consumi delle famiglie sono “colati a picco”, con una contrazione del 10,9% rispetto al 2019. Dove sono finiti allora questi soldi non persi e non spesi? Tutti parcheggiati in conti correnti e depositi: stando ai calcoli di Istat, la propensione al risparmio degli italiani è salita nel 2020 al 15,8%, dall’8,2% del 2019.
Una tendenza, quella di accantonare risorse in attesa di tempi migliori, che non riguarda solo il nostro Paese ma l’intera Eurozona, dove nel quarto trimestre dell’anno scorso il tasso di risparmio delle famiglie è volato al 19,8%, dal 17,3% dei tre mesi precedenti, raggiungendo il secondo valore più alto dall’inizio della serie storica nel 1999 (il record è stato 25% nel secondo trimestre 2020).
Ma procediamo con ordine: quanto ha pesato la crisi e in che modo lo Stato è riuscito a tamponare la situazione?
I numeri del 2020: 93 miliardi di euro di reddito in meno
“L’impatto della crisi sull’attività produttiva ha comportato una riduzione di circa 93 miliardi di euro del reddito primario delle famiglie, pari a circa il 7,3%”, scrive Istat. In particolare, i redditi da lavoro dipendente sono diminuiti di circa 50 miliardi (-6,9%), mentre quelli derivanti dall’attività imprenditoriale si sono ridotti di poco più di 40 miliardi (-12,2%); dalle piccole imprese di loro proprietà, le famiglie hanno ricevuto 28,7miliardi in meno di utili rispetto al 2019, rileva ancora l’Istituto di statistica.
Il reddito disponibile delle famiglie “è stato tuttavia sostenuto dalle amministrazioni pubbliche attraverso rilevanti interventi di redistribuzione, per un totale di circa 61 miliardi di euro. Da una parte, si è assistito a una riduzione delle imposte correnti per circa 4,7 miliardi di euro (-2,2% rispetto al 2019) e dei contributi sociali per circa 15 miliardi (-5,4%). Dall’altra, le prestazioni sociali sono aumentate di 37,6 miliardi di euro (+9,6%), principalmente per le misure di sostegno al reddito”.
Eppure, lo accennavamo poco fa, i consumi non hanno beneficiato di tutto questo sostegno.
Depositi lievitati: si risparmia in vista di tempi migliori?
La dinamica è abbastanza inusuale: le famiglie hanno risposto alla crisi riducendo i consumi più di quanto sia giustificato dalla diminuzione dei redditi e questo si è riflesso in un aumento dei risparmi. I quali tra l’altro non vengono nemmeno investiti sui mercati finanziari, ma rimangono per lo più fermi in attività improduttive. Stando alle rilevazioni dell’Abi (Associazione bancaria italiana), a febbraio 2021 i depositi da clientela residente (in conto corrente, certificati di deposito, pronti contro termine) sono saliti del 10,2% rispetto all’anno precedente (circa 161 miliardi di euro in valore assoluto), portando l’ammontare dei depositi a 1.746 miliardi di euro. Mai tanti in valore nominale e mai cresciuti così in fretta da quando esiste l’euro.
Cosa è successo? Oltre all’incertezza sul futuro e al calo delle disponibilità economiche – che di certo non hanno aiutato – questa volta a inibire i consumi potrebbero aver contribuito anche il timore di contagiarsi frequentando negozi e centri commerciali e la prolungata chiusura dei luoghi “fisici” dello shopping.
La paura inibisce acquisti e investimenti
“I comportamenti di consumo continuano a risentire fortemente dell’emergenza sanitaria”, rilevava lo scorso novembre Banca d’Italia nella terza edizione dell’Indagine Straordinaria sulle famiglie italiane. “La spesa effettuata in novembre per abbigliamento, alberghi, bar e ristoranti è inferiore al periodo precedente la pandemia per circa l’80% delle famiglie e quella in servizi di cura della persona per circa due terzi di esse”. Ma “meno della metà di chi ha ridotto queste spese attribuisce il comportamento alle minori disponibilità economiche”, prosegue il report di Via Nazionale. “Tra le altre motivazioni, prevale invece la paura del contagio”.
Le banche corrono ai ripari: lievitano le commissioni?
Secondo i dati di Banca d’Italia, nel 2019 la spesa di gestione di un conto online era di circa 21,4 euro, +5,9 euro rispetto all’anno precedente a causa soprattutto dalle maggiori spese fisse.
Così c’è chi inizia a correre ai ripari: diverse banche italiane hanno annunciato di recente misure per disincentivare i depositi in conto corrente sopra i 100mila euro – c’è chi intende applicare commissioni oltre questa soglia, chi invece punta a chiudere del tutto i conti troppo corposi e anche chi fa leva sull’educazione finanziaria per orientare i clienti verso il mondo degli investimenti. Una direzione, quella di evitare l’accumulo di troppa liquidità nei conti correnti, che hanno già preso le banche di altri Paesi come Germania e Svizzera, spinte dalla normativa che impone agli istituti di pagare un interesse negativo dello 0,5% per i capitali fermi sul conto.
Sta di fatto che gli aiuti anti-crisi faticano a raggiungere l’economia reale e finiscono per “parcheggiarsi” in liquidità infruttuosa e questo avviene a causa della lunga repressione dei consumi. Resta da capire se, una volta allentate le restrizioni e con il procedere della campagna vaccinale, si assisterà effettivamente all’atteso rimbalzo dei consumi. E resta da capire quale effetto questo eventuale rimbalzo potrebbe avere a livello di inflazione.