Quando la ciurma chiama, Jack Sparrow risponde.
Per una volta questo intervento è a difesa di una banca italiana e non di un risparmiatore. Sì, una banca. Non mi sono scolato un barilotto di rum, sono del tutto sobrio e ve lo dimostrerò.
Una sconvolgente sentenza
Il punto di partenza è una segnalazione giunta ad Advise Only da Danilo DT, un nostro lettore, nonchè blogger: si tratta di una sentenza della Corte di Cassazione che ho dovuto rileggere un paio di volte, controllando la correttezza del link, per essere davvero certo che non si trattasse di una burla scritta da buontemponi.
Ma lascio giudicare a voi. Ecco la sintesi della sentenza:
La Corte ha affermato che la banca è tenuta al risarcimento del danno, per violazione del dovere di diligenza nella gestione del patrimonio mobiliare dell’investitore, allorché abbia tenuto una condotta eccessivamente prudente nelle scelte attuate (nella specie, per avere ridotto la quota azionaria dell’investimento ben al di sotto del limite massimo pattuito) conseguendo così una redditività inferiore, a nulla rilevando che, grazie alla gestione degli anni precedenti, il cliente avesse conseguito idonei guadagni.
Vi consiglio caldamente di leggere l’intera sentenza; in un certo senso la lettura è un’esperienza di vita ed è illuminante sullo stato della vostra scalcagnata Italia. Mi piacerebbe conoscere il parere di qualcuno di voi in merito (io ancora non mi sono ripreso dalla lettura).
La vicenda
Riassumo brutalmente i punti salienti della vicenda:
- un cliente affida i propri risparmi a una banca italiana, per la precisione la Banca Popolare di Verona, investendoli in una gestione patrimoniale (generalmente una pessima idea, ma questo è un altro discorso);
- la gestione patrimoniale del cliente in questione prevede che al massimo si possa investire il 30% del denaro in azioni, ma non si parla di limite minimo;
- per un paio d’anni la gestione va bene;
- poi, nella convinzione che il mercato azionario volga al peggio, il gestore decide di essere più prudente e riduce un bel po’ la quota azionaria (ribadisco che non esisteva un limite minimo alla quantità di azioni in portafoglio);
- la mossa si rivela sbagliata, le azioni salgono e la performance della gestione patrimoniale del cliente risulta quindi peggiore di quella dell’indice benchmark, il metro di paragone;
- il cliente fa causa alla Banca Popolare di Verona per questo;
- dopo un’altalena di giudizi tra sentenze di primo grado e appello, arriva la definitiva sentenza della Cassazione, per la quale il comportamento della banca è “gravemente colposo perché ispirato ad un criterio prudenziale”, “determinando una redditività di gran lunga inferiore a quella realizzabile”. R.I.P.
Il mio punto di vista
La prima cosa che mi ha sconvolto è che il caso risale ai primi anni ’90 e la Cassazione ha chiuso la vicenda il 24 febbraio 2014 (Goethe diceva che “La fretta genera l’errore in ogni cosa”, ma forse non immaginava fino a che punto ci si potesse spingere).
Il secondo fatto sorprendente è che la sentenza afferma che “Il cliente ha diritto di pretendere in ogni momento che il gestore gli assicuri il miglior rendimento possibile”. Che cosa significa? Che in pratica per l’Augusta Cassazione il gestore è obbligato a leggere il futuro come un negromante, perché qualunque errore rispetto alla corretta divinazione dei mercati, incluso il ricorso alla prudenza, diventa “negligente gestione”?
Non ho simpatia per le banche, lo sapete. Ma qui siamo ben oltre i confini della realtà.
Ciurma, ne converrete con me che una cosa balza fuori da questa vicenda: in Italia c’è tanto, tanto bisogno di cultura finanziaria di base.
Gigi Lupini / Giugno 10, 2014
Per la verità non è solo su questo che i giudici sbagliano, pensiamo al caso stamina e alla recente “boiata”. Diciamola tutta, il Berlusca sbagliava su tutto, ma sul fatto che anche i giudici vadano “microanalizzati” quanto i politici e forse di più è una cosa buona e giusta.
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Massimo Vicari / Giugno 11, 2014
Io sono davvero senza parole. Questo implica in qualche modo, che è possibile non solo stimare ex ante il rendimento ottimale per il quale il cliente deve ritenersi soddisfatto, ma anche e soprattutto ottenerlo. Quella della gestione e consulenza è una obbligazione di mezzi e non di risultato, se lo sono scordati? Si può fare causa e vincerla per imperizia, al più, ma questo è davvero ridicolo!
Leggendo bene la sentenza pero’, si evince una verità diversa. La cassazione ha accolto il tema degli appellanti per una questione procedurale e non di merito, ovvero la corte di appello ha “compensato” gli anni buoni con quelli cattivi, come si confà ad una gestione che dura per anni, però in termini di legge, ha statuito su una lasso temporale maggiore di quello incriminato, da qui l’infrazione procedurale.
insomma, la colpevolezza da mala gestio della banca è ancora tutta da vedere!
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Pietro / Luglio 10, 2014
Incredibile. Questa notizia dovrebbe essere in prima pagina sul Corriere Della Sera
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