Chi di voi, a scuola, ha studiato storia dell’arte? Non lo potete vedere, ma io sono tra quelli che hanno appena alzato la mano. Non è che ricordi molto della materia – ho conseguito il diploma di scuola superiore negli ultimissimi anni del secolo scorso – ma una cosa mi è rimasta nella mente: la distinzione tra i tre ordini di colonne dell’architettura greca, ovvero dorico, ionico e corinzio. Ricordo il primo come il più robusto e l’ultimo invece come il più elegante e slanciato.
Anche l’architettura ESG ha i suoi tre ordini di colonne:
• E di environment, che è l’ambiente, meno slanciato e più essenziale, ma comunque massiccio e assolutamente decisivo;
• S di social, già più slanciato e comunque ricco di dettagli, come l’attenzione alle condizioni di lavoro, alla parità di genere e al contrasto di tutte le forme di discriminazione, oltre che al tessuto sociale e al territorio nel quale l’azienda opera;
• G di governance, la più elaborata, che attiene alle strategie e alle scelte decisionali dell’azienda.
Più che colonne, tre Matrioske molto speciali
Un attimo, però. Osservando con più attenzione, ci balza all’occhio come queste tre colonne siano in realtà tre Matrioske. Sì, esatto: simili alle bambole della tradizione russa che contengono altre versioni di se stesse via via più piccole. Ma sono Matrioske di tipo un po’ particolare: una contiene le altre due, entrambe di pari dimensione e importanza.
La bambola che contiene le altre due è, paradossalmente, quella di cui si parla meno. Ci riferiamo alla governance. Esatto: anche se nel discorso sugli investimenti ESG l’attenzione si sofferma più frequentemente sulla “E” di environment e sulla “S” di social, in realtà si può quasi dire che è proprio la governance la pietra d’angolo.
Come ha detto Sara Carvalho de Oliveira, ESG analyst di Sycomore Asset Management, al magazine FocusRisparmio, “le aziende possono avere valori e obiettivi orientati alla sostenibilità, ma senza una buona governance non è possibile realizzarli”.
O, per dirla in altri termini, “eccellere nella governance richiede di padroneggiare non solo le leggi ma anche il loro spirito”: lo scrivevano tempo fa Witold Henisz, Tim Koller e Robin Nuttall nel McKinsey Quarterly dal titolo “Five ways that ESG creates value”. Tutto ciò premesso, risulta ancor più importante rispondere con chiarezza a una precisa domanda.
Che cosa si intende, esattamente, per “governance”?
Siamo – lo si sarà capito – alle prese con l’ennesimo anglicismo finanziario. Che ha fatto il suo ingresso nel nostro vocabolario negli anni Novanta del secolo scorso (più o meno quando io apprendevo nozioni di storia dell’arte). Per governance si intende l’“insieme dei principi, dei modi, delle procedure per la gestione e il governo di società, enti, istituzioni o fenomeni complessi, dalle rilevanti ricadute sociali”. Fonte della definizione, la Treccani.
Volendolo tradurre alla lettera, scrive Silverio Novelli sul sito web della Treccani, governance “propriamente vuol dire ‘modo di dirigere, conduzione’”. Volendolo invece analizzare attraverso una lente di tipo etimologico, possiamo dire che la parola affonda le sue radici nel francese gouvernance, il quale a sua volta le affonda nel latino medievale gubernantia di Boezio, il quale dal canto suo le affonda nel latino classico gubernare. Da cui, scrive Novelli, “il nostro ‘governare’”.
E, in fondo, di questo si tratta: di governo, inteso come insieme di regole e pratiche che disciplina la vita di un’azienda, di un’istituzione e via dicendo. Il che ci riporta al nostro ESG.
ESG: come coniugare governance e sostenibilità?
Quindi, dicevamo: la governance è la Matrioska che contiene le altre due, di pari grandezza, che incarnano la sostenibilità ambientale e sociale.
Infatti, pensateci: se l’insieme di regole e pratiche che disciplina la vita di un’azienda è strutturato in modo equilibrato e riesce a intercettare correttamente gli imperativi della sostenibilità, per quell’azienda sarà più facile avere un confronto trasparente e proficuo con i regolatori e prevenire le violazioni anche sul piano ambientale e sociale. A tutto vantaggio del valore della società stessa e di chi vi investe.
Ma come si ottiene una governance sostenibile? Sempre su FocusRisparmio, Sara Carvalho de Oliveira di Sycomore AM suggeriva di capire in che modo sono strutturati e distribuiti i poteri esecutivo, governativo e di supervisione. La governance funziona se tali poteri sono bilanciati e separati. Se, al contrario, sono concentrati in un’unica persona o in un solo organo, il rischio associato alla governance è più alto.
Bisogna poi capire se governo societario e management agiscono tenendo conto solamente dell’interesse degli azionisti – puntando quindi principalmente o esclusivamente a massimizzare il valore della società e delle sue azioni – o anche degli altri portatori di interessi, i cosiddetti “stakeholder”: dipendenti, collaboratori, fornitori, clienti, società civile, comunità locali.
Il secondo modello – lo si può ben intuire – è decisamente da preferire al primo, e non solo per ragioni etiche: comporta un rischio molto minore di incappare in qualche guaio e nei costi più o meno consistenti a ciò correlati. Anche sul piano reputazionale, che è tutt’altro che scollegato da quello economico.
Se la governance è sostenibile, le performance sono migliori?
La correlazione tra ESG e performance è ancora tutta da esplorare, ma negli ultimi anni qualche studio interessante sul tema è stato diffuso. Per esempio, un po’ di tempo fa Banor SIM e la School of Management del Politecnico di Milano si sono soffermati sulla relazione tra azionario e obbligazionario e rating ESG.
In particolare, analizzando 536 obbligazioni quotate sui listini europei ed emesse da 146 imprese di medie e grandi dimensioni tra gennaio 2014 e dicembre 2018 (esclusi i titoli convertibili e quelli collocati da banche e società immobiliari), la Banor e la School of Management hanno portato alla luce la miglior performance dei titoli associati alle buone pratiche ESG. E non finisce qui: il parametro che è risultato più discriminante è stato proprio quello della buona governance.
C’è un perché: gli investitori ritengono che una migliore performance della G di ESG possa incidere positivamente sulla solidità dell’azienda e sulla riduzione dei rischi d’insolvenza. Insomma, esiste la percezione – in parte già suffragata dai dati – che una governance attenta all’etica e alla sostenibilità, e dunque non solo ai risultati finanziari, nel tempo tenda a fare meglio. E che i portafogli degli investitori abbiano tutto da guadagnarci.