Il 2016 potrebbe portare con sé un giro di vite per i fondi di investimento round-trip ed esterovestiti domiciliati in Irlanda, tra cui i fondi aperti collocati da società italiane tramite sicav straniere, costituite tipicamente in Lussemburgo o, appunto, in Irlanda, dove l’ambiente regolamentare è meno vincolante e la fiscalità più agevole (anche se su quest’ultimo fronte le cose stanno cambiando).
La percentuale di questi prodotti sul totale dei fondi collocati in Italia è cresciuta vertiginosamente negli ultimi 15 anni: ad oggi il patrimonio dei risparmiatori italiani investito in fondi domiciliati all’estero ammonta a oltre 607 miliardi di euro su un totale di 842 miliardi circa affidati all’industria dell’asset management in Italia (dati Assogestioni aggiornati al 31 ottobre 2015, vedere grafico).
Elaborazione AdviseOnly su dati Assogestioni aggiornati al 31 ottobre 2015
Già a luglio di quest’anno, la Consob aveva richiamato gli intermediari distributori di fondi esteri ed esterovestiti al rispetto della normativa Mifid, dopo aver riscontrato “aree di disomogeneità” tra i diversi Stati sui costi dei prodotti di risparmio gestito gravanti sulla clientela, in particolare per quel che riguarda le commissioni di performance (le cosiddette performance fees).
“La selezione dei prodotti da offrire o consigliare alla clientela”, aveva ricordato in quell’occasione l’Authority italiana – “non può fondarsi su valutazioni di mero vantaggio economico per l’intermediario, ma deve essere rivolta prioritariamente a soddisfare gli interessi dei clienti serviti”.
Ora la Banca centrale d’Irlanda, autorità preposta alla vigilanza sui mercati nel Paese, ha annunciato che avvierà a inizio 2016 la più vasta indagine mai condotta sui fondi di investimento esteri domiciliati a Dublino, una decisione presa a seguito delle numerose critiche ricevute per le commissioni eccessive applicate dall’industria del risparmio gestito irlandese.
Nel dettaglio la Central Bank of Ireland, che vigila su oltre 6.000 fondi di cui 3.725 fondi comuni, si concentrerà sulle fees applicate dai prodotti di investimento domiciliati in Irlanda valutandone la convenienza economica in relazione al valore che offrono.
Inizialmente l’indagine guarderà al costo complessivo dei fondi per l’investitore finale, una misura che tipicamente include le commissioni annuali pagate al gestore ma anche il costo di altri servizi, come per esempio le commissioni destinate ai revisori contabili. Nel mirino dell’authority finiranno soprattutto i cosiddetti “outliers”, cioè i comparti che registrano un costo complessivo più alto e che, una volta individuati, saranno analizzati in modo più approfondito.
Secondo alcuni analisti dell’industria, sentiti dal Financial Times, l’indagine potrebbe creare qualche grattacapo alle società di asset management (incluse le molte italiane che collocano fondi domiciliati a Dublino), i cui margini di profitto si stanno già erodendo a causa delle crescenti pressioni di regolatori e consumatori che chiedono prodotti meno cari.
Maggiore trasparenza in arrivo?
I richiami alla trasparenza nell’industria del risparmio gestito arrivano dunque da più parti: anche in Italia, dove la vicenda delle obbligazioni bancarie subordinate ha innescato un a serie di riflessioni, accuse e richieste di vederci chiaro.
Speriamo di vedere presto qualche risultato. Intanto noi di AdviseOnly abbiamo creato una Carta dei diritti del risparmiatore in dieci punti, per ricordarvi che dovete sempre pretendere chiarezza e che gli operatori finanziari hanno dei doveri nei vostri confronti.