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Fast food, quanto mi costi: il rialzo dei prezzi si fa sentire sul trimestre di McDonald’s

Dopo la pandemia, i fast food hanno subito alcuni tra i più importanti incrementi dei prezzi. I potenziali clienti hanno quindi deciso che sarebbe stato meglio, da lì in avanti, mangiare a casa: un locale, questo, nel quale i costi sono saliti, sì, ma in modo più modesto rispetto ai prezzi dei pasti fuori casa.

 

Se l’inflazione manda il panino di traverso

Una nuova politica alimentare – se così possiamo dire – che si è fatta sentire anche sui conti di McDonald’s. Il colosso dei fast food ha chiuso il secondo trimestre con vendite globali in calo per la prima volta dal 2020: le vendite, infatti, sono scese dell’1%. Insomma, i consumatori non hanno digerito i prezzi più alti di hamburger e patatine fritte.

E se i ricavi sono rimasti pressoché invariati, a 6,49 miliardi, nel periodo aprile-giugno, l’utile ha subito una flessione del 12%, a 2,02 miliardi. Il che si ripercuote naturalmente anche sugli utili per azione.

 

 

Una situazione di cui McDonald’s è ben consapevole, tanto che, come diverse altre aziende del settore, negli ultimi mesi ha lanciato varie offerte e promozioni nel tentativo di riagganciare i clienti scottati dal rialzo generale dei prezzi, meglio noto come inflazione.

 

Offerte e promozioni per riconquistare il cliente

Sebbene l’offerta di McDonald’s di un pasto da 5 dollari abbia iniziato a richiamare un po’ di persone, nel secondo trimestre i ristoranti statunitensi hanno potuto beneficiare delle visite di un minor numero di clienti rispetto all’anno precedente, con un calo delle vendite nello stesso punto vendita dello 0,7%, come ha fatto sapere la stessa azienda nel comunicare i suoi numeri trimestrali.

Vedremo se, e quanto, la carrellata di nuove offerte e promozioni inizierà a fare effetto.

 

Il calo dei prezzi, intanto, è ripreso

Intanto i dati sull’inflazione diffusi a fine luglio sembrano dimostrare che l’impennata consumatasi nel primo trimestre sia stata più una momentanea battuta d’arresto che un sintomo delle tendenze di fondo dei prezzi.

L’inflazione PCE, la metrica maggiormente seguita dalla Federal Reserve, è salita di appena lo 0,1% a giugno, mentre l’inflazione core – che non tiene conto di beni alimentari ed energia – è aumentata dello 0,2%.

Nell’ultimo anno, i prezzi complessivi sono aumentati del 2,5% e quelli core del 2,6%. Una tendenza che va incontro alla Federal Reserve, tenuto conto che l’inflazione core che negli ultimi tre mesi ha raggiunto il 2,3% annualizzato, non lontano dall’obiettivo del 2%, a fronte del 4,5% nel periodo gennaio-marzo e del 2,9% nel periodo marzo-maggio.

E chissà che i paninazzi non tornino, di nuovo, più digeribili a breve. Promozioni o non promozioni.

 


 

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