Gli ultimi giorni di Berlusconi e i primi di Monti da Premier si sono caratterizzati (tra le altre cose) per il tormentone circa l’impatto positivo del nuovo Governo sulle grandezze finanziarie che costituiscono il termometro della fiducia nel nostro Paese: lo spread, i rendimenti dei titoli di Stato, i CDS (se non sapete cosa sono leggete qui), la Borsa.
Le dimissioni di Berlusconi hanno preso forma nella convinzione che avrebbero aiutato a ridurre il rischio Italia. C’è chi dice che un miglioramento c’è stato e c’è, ovviamente, chi dice che le cose sono peggiorate: le opinioni sul punto, spesso oggetto di attenzione mediatica, sono contrastanti e alimentano vivaci discussioni. Il tema stuzzica e si presta anche a strumentalizzazioni, ma non tutti hanno la possibilità di verificare puntualmente, dati alla mano, dove sta la verità. Allora, lasciando da parte qualsiasi giudizio politico e personale, andiamo a verificare insieme che cosa è successo sui mercati.
Vediamo come si sono comportati i mercati finanziari tra due date emblematiche.
- La prima è il 9 novembre, un mercoledì nero: il giorno in cui il tasso sui BTP a 10 anni ha sfondato la soglia psicologica del 7% e lo spread BTP-Bund è volato oltre quota 570. In entrambi i casi il massimo – cioè il peggio – da quando esiste l’Euro. Borsa Italiana perdeva il -3.78% e una larga parte dell’opinione pubblica italiana e internazionale chiedeva le dimissioni di Berlusconi.
- La seconda è il 17 novembre, primo vero giorno da Premier per Mario Monti.
Come grandezze chiave ho considerato CDS, spread e andamento della Borsa, utilizzando dati di fonte Bloomberg (per la precisione, i valori di chiusura alle due date in questione). Vediamo cos’è successo in Italia e in altri Paesi, includendo nazioni considerate virtuose, come Germania e Austria. Confrontando più Paesi si elimina l’effetto dei “fattori comuni” che impattano in modo generalizzato sui mercati finanziari: ne deriva un’analisi maggiormente puntuale.
Partiamo dai CDS. Si tratta, in breve, di un contratto di assicurazione contro il rischio di fallimento di un emittente. Perciò è diretta espressione della fiducia attribuita dagli operatori ai vari emittenti.
In Italia la situazione è marginalmente migliorata, ma è invece peggiorata negli altri Paesi, e non di poco: a fronte di un calo del rischio Italia del -0,2%, l’incremento medio degli altri Paesi è stato del +11%.
Consideriamo ora gli spread dei titoli di Stato decennali di vari Paesi rispetto al tedesco Bund. Anche questa è una misura della fiducia accordata dai mercati ai vari Paesi.
Qui la situazione è più netta: scende nettamente il rischio Italia, -10.6%, e sale il rischio per gli altri Paesi, +16.9%.
Vediamo infine le Borse.
Anche qui si riscontra un cambiamento favorevole per l’Italia, con un apprezzamento della Borsa pari a +1.1%, ed un deterioramento altrove, in media pari a -2.9%.
I dati parlano chiaro: il miglioramento c’è stato. Anche se di entità inferiore alla aspettative di molti.
Ma perché il miglioramento non è stato maggiore? Perché la crisi è ormai europea, se non mondiale, e non basta che l’Italia abbia un Governo in grado di fare quello che deve essere fatto: questa è una condizione necessaria. Ma da sola non basta. Diciamo che l’Italia si è conquistata il diritto a un prezioso “time-out”, da utilizzare per riorganizzarsi ed entrare in campo agguerrita, insieme agli altri Paesi dell’Eurozona, e superare la crisi. Ma in fretta, che il tempo corre – e i mercati pure.