Indice di Gini: sembra roba da nerd della finanza, e invece bisognerà che il nuovo governo lo conosca. E anche bene, possibilmente.
Cos’è il coefficiente di Gini? Nientemeno che un indice della disuguaglianza di una distribuzione studiata dallo statistico italiano Corrado Gini (1884-1965), usata come valore di riferimento della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza: valori bassi dell’indice di Gini indicano una distribuzione abbastanza omogenea, valori alti sono la spia di una distribuzione più disuguale, con una massima concentrazione presso pochi individui.
L’indice di Gini in Italia
Tutto molto interessante, ma perché ne parliamo? Perché, come accennato, a metà marzo la Banca d’Italia ha diffuso la nuova edizione della sua Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, riferita al 2016.
- È aumentato del 3,5% il reddito medio equivalente delle famiglie rispetto al 2014 (anno della precedente indagine), ma mancano ancora 11 punti percentuali per tornare al picco del 2006, cioè al periodo pre-crisi.
- Esiste una maggiore disuguaglianza, “Tornata in prossimità dei livelli prevalenti alla fine degli anni Novanta”.
- È aumentato il numero di persone a rischio povertà (la cui soglia nel 2016 è stata fissata a 830 euro circa di entrate mensili). In questa condizione si trova il 23% della popolazione italiana, “un livello molto elevato”, addirittura più alto rispetto alla fine degli anni Novanta.
Un problema (anche) generazionale
Dalla tabella sull’incidenza degli individui a rischio povertà per caratteristiche del capofamiglia tratta dall’indagine di Bankitalia, si vede bene come questo rischio sia più alto tra le famiglie con capofamiglia più giovane e nato all’estero e fra le famiglie residenti nel Mezzogiorno, mentre è più basso per i nuclei il cui capofamiglia ha più di 65 anni o è pensionato.
Il confronto con il 2006 ci rivela poi che il rischio di povertà è cresciuto in tutte le classi anagrafiche tranne che per gli over 65, che hanno visto migliorare la loro condizione. Particolarmente preoccupante l’incremento registrato dai 35-45enni (+11,4%).
Sale il rischio al nord e al centro mentre cala a sud, dove però – al di là della modestissima variazione negativa (-0,1%) – la percentuale resta molto elevata (più di un terzo è a rischio povertà). Quanto alle professioni, le cose vanno un po’ meglio solo per i pensionati.
Cresce il reddito, ma non in modo uniforme
Il reddito annuo familiare, secondo l’indagine, nel 2016 ammontava in media a 30.700 euro (al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali), in linea con l’indagine precedente (30.600 euro nel 2014), mentre è aumentato in modo più significativo, per la prima volta dall’inizio della crisi, il reddito medio equivalente (calcolato secondo un metodo che rende equivalenti i redditi di famiglie di diversa ampiezza e composizione).
In aumento la quota di famiglie che hanno dichiarato di essere riuscite a risparmiare, mentre è calato il numero di quelle che hanno detto di arrivare a fine mese con fatica. Ma – qui sta l’inghippo – la crescita del reddito equivalente reale non è stata uniforme: le famiglie con lavoratori dipendenti se la sono cavata meglio rispetto agli altri.
Un’Italia più divisa
Due grafici tratti dall’indagine della Banca d’Italia ci mostrano come la disuguaglianza nella distribuzione sia aumentata sia dal lato del reddito che dal lato ricchezza.
Nel grafico che proponiamo qui sotto (e che riprendiamo dall’indagine della Banca d’Italia), si vede come l’Indice di Gini del reddito equivalente nel 2016 sia salito al 33,5%, dal 33% circa del 2012 e del 2014. E si vede anche bene come, nei 10 anni precedenti, che sono seguiti alla crisi globale, il livello della disuguaglianza sia aumentato dell’1,5%.
Un incremento che, come fanno notare gli autori dell’indagine, ha riportato il nostro Paese in prossimità dei livelli toccati alla fine degli anni Novanta.
In questo secondo grafico, si nota come nel 2016 la disuguaglianza sia aumentata anche sul fronte della ricchezza netta delle famiglie, dopo il picco del 2012 e il calo registrato in seguito.
Una ricchezza asimmetrica
Sempre a proposito di ricchezza delle famiglie italiane, un altro input interessante ci arriva dal suo valore medio (ossia la somma di tutte le ricchezze divisa per il numero delle famiglie) e dal valore mediano (cioè quello che si colloca esattamente nel mezzo fra i due estremi): nel 2016, a fronte di una ricchezza media di circa 206 mila euro, il valore mediano – che quindi segnava lo spartiacque tra la metà più povera e la metà più ricca delle famiglie – era pari a 126 mila euro, dunque significativamente più basso, riflettendo così “la forte asimmetria della distribuzione”.
Chiudiamo con tre dati che ci offrono una sintesi della situazione aggiornata al 2016:
- il 30% più povero delle famiglie detiene l’1% della ricchezza netta (pari a circa 6.500 euro in media) e i tre quarti di queste famiglie sono anche a rischio povertà;
- il 30% più ricco delle famiglie possiede circa il 75% del patrimonio netto complessivamente rilevato e la ricchezza netta media di questo 30% è pari a 510.000 euro;
- oltre il 40% della ricchezza netta in capo al 30% più ricco è nelle mani del 5% di questo gruppo, che vanta un patrimonio netto medio di 1,3 milioni di euro.