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Come (non) investono le famiglie italiane

Una grande conferma rispetto le potenzialità inespresse e i saperi finanziari scarsi o nulli dei risparmiatori italiani. Nel nostro Paese, le famiglie custodiscono una ricchezza significativa, aumentata con la pandemia: l’agenzia di rating1 Moody’s l’ha definita di recente “un potenziale cuscinetto per shock futuri del Paese”, oltre che “fonte di possibile finanziamento per il governo”, come la recente proposta sulla patrimoniale testimonia.

Eppure, questi risparmi vengono parcheggiati nei salvadanai o, al meglio, in conti deposito con rendimenti dello “zero virgola”. Colpa un po’ della scarsa educazione finanziaria, un po’ dell’incertezza economico-politica in cui versa il nostro Paese e un po’, non ultima, della bassissima fiducia che i cittadini ripongono nelle banche e nelle istituzioni finanziarie in generale: fatto sta che, a tutt’oggi, gli italiani investono poco e male.

Non solo: i pochi che decidono di investire tendono a prediligere il fai-da-te. Si affidano ad amici e familiari per ricevere consigli di investimento e non sanno definire quale servizio offra esattamente un consulente, anzi: non sanno nemmeno se la consulenza finanziaria sia in qualche modo retribuita.

 

Lo studio CONSOB

“A fine 2017 il tasso di partecipazione delle famiglie italiane al mercato finanziario si attesta al 29%: dopo i depositi bancari e i prodotti postali, le attività che pesano di più nel portafoglio degli investitori sono i fondi comuni e i titoli di Stato”, si legge nell’ultimo report della CONSOB sulle scelte di investimento delle famiglie italiane.

Significa che ancora nel 2017, il 71% delle famiglie italiane non investe i propri risparmi: è un’opportunità persa, non solo perché i soldi lasciati sotto il materasso non maturano interessi, ma anche perché il loro valore viene eroso negli anni dall’inflazione (oggi è molto bassa, ma potrebbe risalire). Insomma, non investire non equivale affatto a non rischiare.

Lo studio CONSOB, che ha coinvolto un campione di 1.601 individui rappresentativo dei decisori finanziari italiani, evidenzia come la propensione all’investimento sia più elevata tra i residenti nel Nord Italia, con maggiori conoscenze finanziarie (effettive e percepite) e maggiori abilità di calcolo.

Ecco come sono allocati i risparmi di quel 29% di famiglie che ha almeno un investimento in corso.

 

Asset finanziari preferiti dagli italiani (CONSOB) | amCharts

 

Uno degli ostacoli principali a una più ampia partecipazione degli italiani ai mercati finanziari risiede – come più volte sottolineato – nelle scarse competenze in materia di investimenti.

 

Educazione finanziaria, questa sconosciuta

Stando alle rilevazioni di CONSOB, un intervistato su due non è in grado di definire correttamente nozioni finanziarie di base come “diversificazione”, “mutui” o “inflazione”, meno del 40% sa spiegare cosa sia la rischiosità delle azioni e solo uno su cinque comprende il rapporto tra rendimento e prezzo di un’obbligazione. Senza parlare degli investimenti socialmente responsabili, che il 60% del campione non ha mai nemmeno sentito nominare.

 

Conoscenze finanzarie italiani | amCharts

 

Non sorprende, dunque, che la reazione di fronte all’ignoto sia il rifiuto: la non conoscenza, come in tutte le cose, tende a generare paure a volte infondate.

E in effetti i risparmiatori italiani hanno dichiarato nella stragrande maggioranza dei casi un’elevata avversione alle perdite, spiegando di non essere orientati all’assunzione di rischio nelle scelte di investimento. Da notare tra l’altro che queste attitudini sono più frequenti al crescere dell’età e della propensione all’ansia finanziaria, mentre vanno a sfumare con l’aumento delle conoscenze finanziarie.

“Supponiamo che sei mesi fa tu abbia investito in un asset finanziario che offriva buone prospettive di rendimento a cinque anni, e che adesso l’investimento abbia un valore inferiore a quello che aveva allora. Se il rendimento promesso al termine dei 5 anni è rimasto lo stesso, tu ti sentiresti…”

A) Totalmente avverso alle perdite
B) Tollerante a una perdita fino al 25% del capitale investito
C) Tollerante a una perdita fino al 50% del capitale investito
D) Tollerante a perdite di breve termine

Attitudini risparmiatori italiani | amCharts

 

Anche l’abitudine a gestire le risorse familiari nell’ambito di un processo strutturato di pianificazione e controllo è ancora poco diffusa, con solo un terzo delle famiglie che dichiara di avere un piano finanziario e di monitorarne gli esiti (chi non lo fa lo ritiene semplicemente inutile).

 

La richiesta di consulenza

Il quadro dipinto fin qui non lascia presagire nulla di buono per quanto riguarda la ricerca di una consulenza professionale per i propri investimenti. In effetti, tra coloro che dichiarano di approcciarsi all’investimento adottando sempre lo stesso stile decisionale (il 75% circa del campione), solo poco più del 20% si rivolge a un consulente professionale, mentre oltre la metà predilige i consigli di amici e parenti. Pure in questo caso, si tratta di una grande conferma rispetto a quanto emerso in passato.

Più del 50% degli intervistati non è in grado di definire in cosa consista effettivamente il servizio di consulenza in materia di investimenti. Non solo: il 37% è convinto che la consulenza è gratuita, mentre il 45% ammette di non sapere se il consulente venga retribuito. In ogni caso, circa la metà del campione non sarebbe disposto a pagare per il servizio (ça va sans dire, la disponibilità a pagare si associa positivamente alla cultura finanziaria, alla conoscenza delle caratteristiche del servizio e all’orientamento al lungo termine). Quei pochi che decidono di investire e di farlo affidandosi a un professionista tendono a ricercare nel consulente finanziario una figura competente e in grado di spiegare le cose in modo chiaro, ma anche un supporto psicologico, in grado di ascoltare e di placare l’ansia dei propri clienti.

“Cosa ti trattiene dal richiedere un servizio di consulenza professionale?” (sottocampione di chi non si avvale di consulenza, max 3 risposte consentite)

A) Non mi serve, perché investo piccole somme
B) Penso la qualità sia scarsa
C) Non mi fido
D) Non credo sia un servizio valido
E) Costa troppo
F) Lo trovo inutile
G) Non mi serve, perché investo in prodotti semplici
H) Ne so abbastanza da fare da me

Consulenza professionale (CONSOB) | amCharts


1 – #ABCFinanza: le agenzie di rating, cosa sono e a cosa servono

Scritto da

La scrittura è sempre stata la sua passione. Laureata in Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, è entrata nel mondo del giornalismo nel 2008 con uno stage in Reuters Italia e successivamente ha lavorato per l’agenzia di stampa Adnkronos e per il sito di Milano Finanza, dove ha iniziato a conoscere i meccanismi del web. All’inizio del 2011 è entrata in Blue Financial Communication, dove si è occupata dei contenuti del sito web Bluerating.com e ha scritto per il mensile Bluerating.

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