Quando si parla di lotta ai cambiamenti climatici e di contrasto al riscaldamento globale, la lista di chi si dichiara pronto ad assumersi impegni anche molto importanti è lunga. Ma nell’ombra – potremmo quasi dire, nel “lato oscuro della Forza” – si muovono altrettanti soggetti ai quali della lotta ai cambiamenti climatici, e al riscaldamento globale che li provoca, importa assai poco. Anzi: lavorano indefessamente per mantenere lo status quo. Il “business as usual”, diciamo.
Questo, almeno, è quanto emerge dal recente rapporto “Climate Policy Footprint 2021”1 di InfluenceMap, che completa il quadro già in parte emerso dall’A-List 2021 di cui abbiamo parlato non molto tempo fa2.
Cosa ci dice il rapporto di InfluenceMap?
Innanzitutto, che sono le compagnie petrolifere e del gas con sede negli Stati Uniti – insieme alle loro associazioni di categoria – a occupare in primi posti nella lista 2021 delle organizzazioni più ostruzioniste al mondo in tema di impegni per il clima.
Nel mettere insieme il rapporto, InfluenceMap ha analizzato più di 50.000 indicatori riguardanti centinaia di aziende e gruppi fra i più importanti al mondo: il punteggio assegnato a ogni azienda si basa su una valutazione della sua azione in difesa della politica climatica (comprendendo nell’analisi i vari gruppi di cui fa parte) e dell’intensità di tale impegno, ed è poi aggiustato per tener conto del peso economico e politico dell’azienda in questione.
Risultati in sintesi: gli Oscar ai più ostruzionisti
Tutto ciò premesso, ecco cosa viene fuori. Innanzitutto, come accennato sopra, sono le compagnie petrolifere statunitensi a dominare i primi posti: ExxonMobil conquista infatti la prima posizione, seguita da Chevron al secondo posto. Altre non sono nella top ten, ma compaiono comunque nella top 25: ConocoPhillips è settima, Phillips 66 è 12esima, Valero Energy è 13esima e Occidental Petroleum 22esima.
Risultati che, secondo InfluenceMap, riflettono l’intensa resistenza del settore agli sforzi dell’amministrazione Biden per portare l’economia statunitense fuori dal cono d’ombra dei combustibili fossili. Ma ecco i primi 10 posti di questa classifica che racchiude le “most negative and influential companies”, ovvero le compagnie più influenti e negative.
Al terzo posto, come si vede, non c’è un’azienda petrolifera ma un colosso automobilistico: è Toyota, produttore di auto, che, posizionandosi sul poco invidiabile podio, va a occupare la posizione più alta nella sua categoria.
Ciò, spiega InfluenceMap, è un riflesso della sua opposizione rispetto ai tempi per la graduale eliminazione dei veicoli con motore a combustione interna (o Ice, Internal combustion engine). Altre case automobilistiche nella lista sono BMW Motors, che si piazza 18esima, Daimler, 24esima, e Hyundai, 25esima.
Non solo petrolio e carbone: c’è anche il gas
I risultati, riferisce InfluenceMap, suggeriscono anche un notevole incremento dell’attività di lobbying da parte delle aziende sul gas. L’analisi include quindi quelle società che fanno attivamente lobbying a favore del gas in Europa, come BP (nona), OMV (decima) e Gazprom (17esima).
Dentro anche le utility focalizzate sui combustibili fossili, come Southern Company (quarta), American Electric Power (11esima) e Duke Energy (15esima), così come il gruppo californiano di infrastrutture elettriche e del gas naturale Sempra (quinta).
Pure alcune associazioni si mettono di traverso
Non finisce qui. L’analisi, infatti, mette in evidenza anche il ruolo delle associazioni industriali, che spesso hanno un approccio ancor più negativo alla politica climatica rispetto a molti loro membri.
Anche in questo caso, sono gli Stati Uniti a dominare: è qui, infatti, che risiedono, secondo il rapporto, le organizzazioni più ostruzioniste.
I primi due posti rappresentano il settore del petrolio e del gas, con l’American Petroleum Institute in prima posizione e l’American Fuel & Petrochemical Manufacturers in seconda. In totale, 13 dei 25 gruppi che compongono la lista rappresentano direttamente i settori dell’energia fossile.
Ma nella top 10, segnala InfluenceMap, fanno il loro ingresso diverse associazioni industriali intersettoriali: fra queste, la Camera di Commercio degli Stati Uniti (terza), BusinessEurope (quinta), la Camera di Commercio della California (ottava) e la Federazione delle Industrie Tedesche (nona). Oltre il perimetro delle prime dieci, ci sono la Japanese Business Federation, che si è classificata 17esima, e la Federation of Korean Industries, al 22esimo posto.
Tra i Paesi meno “amici” del clima, si sa, c’è anche l’Australia, con il suo “outback” che è tra i più suggestivi al mondo e con le sue miniere di carbone che ancora oggi costituiscono una voce importante nella sua economia3: non stupisce, quindi, vedere in lista due gruppi industriali australiani, ovvero l’Australian Petroleum Production & Exploration Association, al 12esimo posto, e il Minerals Council of Australia, 13esimo.
Perché tutto ciò dovrebbe interessarci?
Primo, perché – come fa notare InfluenceMap – molti di questi gruppi non si tengono lontani dai tavoli sul clima ma ne prendono attivamente parte (non a caso abbiamo parlato di lobbying, che è l’attività mediante la quale i gruppi di interesse fanno pressione affinché la normativa vada in una certa direzione invece che in un’altra, non sempre – va detto – con cattive intenzioni). Tentano quindi di influenzare il corso degli eventi, anche adesso, anche alla Cop26, per ammorbidire gli impegni collettivi per il clima.
Secondo, perché, sapendo con chi abbiamo a che fare, possiamo, in qualità di investitori, scegliere di non investirvi o di investirvi meno. Per esempio, quando valutiamo un fondo o un etf che ci viene proposto come “green”4, possiamo controllare in che misura le società che abbiamo citato in questo post siano presenti nel paniere del prodotto. E regolarci di conseguenza.
1. The 50 Most Influential Companies and Industry Associations Blocking Climate Policy Action Globally
2. “Non ce lo dicono”: ecco a voi la lobby del clima
3. Climate change: Why Australia refuses to give up coal
4. Fondi azionari “green”: quanti sono sostenibili come dicono?