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Che cosa muove le obbligazioni: lo spettro dei bond

 “Da questo possiamo inferire una essere la omniforme sustanza, uno essere il vero ed ente, che secondo innumerabili circostanze e individui appare, mostrandosi in tanti e sí diversi suppositi.

Giordano Bruno

Non sono pazzo. È che il tagliente pensatore di Nola già 600 anni fa immaginò l’universo come un vasto organismo complesso e sfaccettato, derivante però da un unico princìpio, l’Uno, e questa idea si applica assai bene ai mercati finanziari. Non solo al mercato azionario – nel quale dimora “lo spirito delle Borse” – ma anche alle obbligazioni. Anzi, soprattutto alle obbligazioni. Al di là dei termini immaginifici, non si tratta di speculazioni, bensì di fatti numerici, dalle fondamenta ben piantate nella statistica.

Andiamo al dunque.

Consideriamo gli otto mercati obbligazionari più importanti al mondo per dimensione, cioè USA, Giappone, UK, Italia, Francia, Germania, Canada, Spagna. Per ciascuno di essi analizziamo la serie storica più carica di significatività: il rendimento del bond decennale governativo, dal 1993 a oggi (il periodo più esteso per il quale Bloomberg fornisce i dati per tutti i mercati considerati). Per farlo, applichiamo la stessa tecnica statistica impiegata per individuare lo “spirito delle Borse”, cioè l’analisi delle componenti principali (se siete curiosi, ecco un’introduzione a questa tecnica). In breve, l’analisi delle componenti principali individua la struttura portante di un fenomeno, in questo caso la dinamica dei tassi d’interesse mondiali, rispondendo alla domanda: che cosa si muove sotto la superficie e lega tutti i tassi d’interesse spiegandone la variabilità?

Ebbene, sotto la superficie si muove una variabile possente: la prima componente principale distillata dall’algoritmo spiega infatti l’88% dei movimenti dei rendimenti dei decennali governativi analizzati. Quindi quasi il 90% delle variazioni dei tassi dei principali mercati obbligazionari (senza considerare l’effetto cambio) è spiegata da un unico fattore, il “fattore bond”, che ha questo aspetto:

Quale interpretazione economica possiamo dare a questa specie di spettro che muove i rendimenti delle obbligazioni?

Insomma, che cos’è questo “Uno obbligazionario”?

Guardandone il grafico si desume che riflette le generali condizioni delle economie sviluppate, la loro produttività e demografia dalla dinamica sfavorevole, con l’associata crescita economica sempre più anemica. Ma soprattutto riflette la politica monetaria accomodante negli ultimi 25 anni, con conseguente calo generalizzato dei tassi d’interesse sui principali mercati. È interessante notare come anche all’interno di un singolo mercato, ad esempio quello dei titoli di Stato italiani, si ritrovino risultati simili. Consideriamo i rendimenti dei BOT e dei BTP dal 1995 a oggi (di nuovo, è l’arco temporale più esteso per il quale Bloomberg fornisce i dati necessari), con scadenze che vanno da 6 mesi fino a 30 anni, e, a mo’ di Ghostbusters statistici, applichiamo l’analisi delle componenti principali, stanando lo spettro obbligazionario. Il risultato è ancora più forte di prima: addirittura il 96% delle variazioni dei rendimenti di BOT e BTP dipende da un unico fattore. Fattore la cui dinamica ricorda in modo impressionante quella del “fattore mondiale” (con alcuni eccezioni, come il picco a fine 2011-inizio 2012, cioè quando esplose il rischio default dell’Italia).

Per capire che cos’è il “fattore bond Italia”, notate come esso impatti in modo abbastanza uniforme sulle diverse tipologie di obbligazioni: significa che quando i tassi aumentano o diminuiscono, tendono a farlo in modo piuttosto uniforme su tutto l’arco di scadenze.

Questione di duration

Ebbene, l’impatto di un rialzo omogeneo dei tassi d’interesse è proprio ciò che viene misurato dalla duration, indicatore di cui abbiamo parlato più volte e che, in sostanza, ci dice che cosa succede a un’obbligazione quando si muovono i tassi d’interesse.

Pertanto, il fattore che guida sia singoli mercati, come quello italiano, sia i mercati mondiali, si può associare alla duration. Ed ecco spiegato perché i gestori di tutto il mondo di solito identificano come decisione principale il posizionamento in termini di duration: lunga, tramite obbligazioni dalle scadenze lontane (o strumenti derivati) se si pensa che i rendimenti scendano, oppure corta in caso contrario.

Non tutto l’universo obbligazionario si riduce alla duration, certo.

C’è il posizionamento in termini di rischio di credito, la diversificazione valutaria, l’irripidirsi o l’appiattirsi della curva dei tassi d’interesse (non voglio farla lunga e stremarvi, però anche questi movimenti si evincono chiaramente con l’analisi delle componenti principali)… ma il più delle volte la duration resta la decisione principale.

Quali sono le principali ricadute pratiche per un risparmiatore e la sua asset allocation?

  • L’analisi delle componenti principali evidenzia come la performance di un portafoglio di obbligazioni dipenda crucialmente dalla direzione generale dei tassi d’interesse: su o giù.
  • Analogamente, e ne ho parlato in un precedente post, la performance di un portafoglio azionario tradizionale (“long-only”) è strettamente legata alla dinamica complessiva del mercato azionario mondiale.
  • Nelle decisioni d’investimento è perciò bene concentrare l’attenzione sulle informazioni relative a queste due macro-variabili: mercato azionario e tassi d’interesse in generale.
  • È allora inutile farsi distrarre dal “rumore” delle notizie secondarie – molti grandi gestori ragionano infatti in termini di rade “Big ideas”, e delle loro implicazioni su tassi d’intersse e mercato azionario.
  • La diversificazione di portafoglio al di là di questi due fattori comunque esiste (basti pensare alle divise, ai mercati emergenti, alle commodities), e va perseguita con ogni mezzo, per ridurre il rischio dell’investimento a parità di potenziale.
Scritto da

Uno dei fondatori di AdviseOnly, responsabile del Financial & Data Analysis Group. Esperto di finanza e gestione dei rischi, statistico Bayesiano, lunga esperienza in Allianz Asset Management, è laureato in scienze economiche con indirizzo quantitativo-statistico all'Università di Torino. Docente di Quantitative Portfolio Management al Master in Finance dell'Università di Torino, ha pubblicato vari articoli su riviste finanziarie (fra le altre: Journal of Asset Management, Economic Notes, Risk), contribuendo a libri su investimenti e gestione dei rischi. Ex-triathleta, s'ostina a praticare apnea, immersioni e skyrunning.

Ultimi commenti
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    Molto interessante ed efficacemente scritto! Riguardo Bruno, è stato in effetti uno dei più innovatori esponenti del monismo metafisico. Ma è interessante tener presente che l’idea, in altre forme, era presente e ben sviluppata già nel platonismo tardo-antico (l’esponente più noto è Plotino)

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