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Brexit. Cosa si nasconde dietro questo acronimo?

Il 23 giugno 2016 i cittadini del Regno Unito sono chiamati alle urne, l’oggetto del voto è una strana sigla: Brexit. Scopriamo insieme di cosa si tratta e perché è così importante per tutta l’Europa.

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Cos’è la Brexit?

La parola ricorda il famoso Grexit della scorsa estate e il concetto di fondo rimane il medesimo; si tratta dell’uscita (exit) dall’Unione Europea da parte del Regno Unito. La settimana scorsa ci sono state lunghe trattative a Bruxelles tra il consiglio dell’Unione Europea ed il primo ministro David Cameron. Con quale scopo? Semplice, il 23 giugno i cittadini del Regno Unito saranno chiamati alle urne per decidere se restare nell’Unione Europea oppure no ed il primo ministro britannico David Cameron ha deciso di far sentire la sua voce e di rinegoziare i rapporti (trattati) tra la UE e Londra al fine di convincere i propri elettori (e non solo) a rimanere all’interno dell’Unione.

Cosa si vota?

In sintesi, ecco i punti principali dell’accordo raggiunto dopo due giorni di negoziati e che i cittadini inglesi andranno a votare.

  • Welfare. Viene accettato il principio in base al quale in situazioni eccezionali potrebbe essere limitata la libera circolazione dei lavoratori e l’accesso al welfare potrà essere dato gradualmente in quattro anni con la possibilità, da parte del governo inglese, di attivare un ‘freno di emergenza’ per l’accesso ai benefici di sette anni;
  • Competitività. L’Unione Europea farà tutto il necessario per rafforzare il mercato interno e mantenerlo competitivo, al passo con i cambiamenti anche attraverso uno snellimento del carico amministrativo e dei costi per le piccole medie imprese;
  • Sovranità. Il penultimo punto fa riferimento all’‘Unione sempre più stretta’ che per Londra è una definizione troppo vincolante. Il Regno Unito vuole infatti la possibilità di respingere alcune decisioni legislative, non facendo parte dell’Unione monetaria europea e quindi del nucleo più ristretto;
  • Governance economica. L’ultimo punto riguarda sostanzialmente le banche e le assicurazioni, e quindi la possibilità da parte degli istituti inglesi di avere una maggiore autonomia (in particolare dalla BCE). Nell’accordo si parla di ‘parità del mercato interno’ e questo comporterebbe che le banche inglesi sarebbero comunque soggette ai controlli delle autorità europee (EBA, ESMA).

Adesso sta al popolo inglese votare: ma se il primo ministro Cameron sposa la causa del Sì, è notizia recente che il sindaco di Londra Boris Johnsoon sia invece favorevole ad un secco e sonoro No.

Cosa ne pensa la City?

I servizi finanziari pesano, ogni anno, 180 miliardi di sterline, pari a circa il 12% del PIL del Paese. Se consideriamo, all’interno dei servizi finanziari, alcune sotto aree come il trading di valute e i derivati OTC Londra copre rispettivamente il 41% ed il 49% della quota di mercato globale. Inevitabilmente una Brexit porterebbe ad un ridimensionamento di queste cifre.

Sulla base dell’attuale normativa, ogni società autorizzata ad operare nel Regno Unito ha la possibilità di operare all’interno dell’area Euro semplicemente chiedendo al regulator britannico una sorta di “passaporto”. Ed è proprio grazie a questo passaporto che realtà bancarie internazionali extra-UE hanno scelto come base Londra, in quanto la City rappresenta il ponte per accedere a più di 500 milioni di clienti; naturalmente senza questa possibilità altre piazze europee come Parigi, Francoforte, Dublino e Lussemburgo sarebbero ben felici di accogliere queste multinazionali ‘orfane’ di piazza.

In caso di Brexit cosa succede?

Al momento i sondaggi vedono la vittoria del Sì, ovvero della permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, ma la percentuale di indecisi è ancora molto elevata e potrebbe spostare l’ago della bilancia.

Se i cittadini voteranno per il No, optando dunque per la Brexit, molto dipenderà da quali accordi la Gran Bretagna prenderà con il resto dell’Unione Europea. Londra potrebbe scegliere una Brexit “rigida” e quindi uscire dall’influenza legislativa dell’Unione Europea, ma questo significherebbe perdere il privilegio del ‘passport’. Un’altra alternativa potrebbe essere il modello norvegese, ovvero uscire dall’Unione Europea ma restare parte dello Spazio Economico Europeo, nel qual caso avrebbe accesso al mercato unico, ma dovrebbe accettare molte delle regole di Bruxelles, oltre a contribuire al bilancio dell’Unione.

Quale sarà l’impatto sui mercato?

Una recente analisi di Credit Suisse sostiene che in caso di Brexit ci potrebbe essere un crollo immediato del PIL dell’1% o 2% a causa del calo della fiducia e dell’insaprimento delle condizioni finanziarie e questo nel lungo termine porterebbe inevitabilmente ad un rallentamento della domanda. Per il momento comunque, il rischio Brexit si è concentrato sulla valuta che perde terreno sia nei confronti del dollaro che dell’euro.

 

 

È difficile dire ora come si comporterebbero i mercati in caso di Brexit, si sa che i mercati sono per loro natura a tratti irrazionali e questa notizia potrebbe portare a forti vendite oppure passare quasi inosservata… dipenderà tutto dalle condizioni in cui si troverà l’economia non solo europea ma anche globale quest’estate, quindi per ora non possiamo far altro che attendere l’esito del referendum.

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