La ricerca di una maggiore efficienza all’interno del frammentato panorama bancario italiano sta ottenendo i primi risultati: l’annuncio ufficiale della fusione tra Banca Popolare di Milano e Banco Popolare. È stato un cammino lungo, iniziato nel 2014 con la creazione del Meccanismo Unico di Supervisione, in capo alla BCE e operante attività di vigilanza nei confronti dei principali istituti italiani, passando poi per la riforma delle banche Popolari del 2015 tramite la trasformazione in SpA, fino ad arrivare a questo (primo) risultato concreto.
Le due banche si presentano all’altare della BCE in condizioni contrapposte: da un lato gli ultimi risultati di bilancio di Banca Popolare di Milano evidenziano un quadro decisamente ottimista: utile netto e margine di commissione positivi (rispettivamente +24,4% e +0,8% rispetto al 2015) e crediti deteriorati in rapporto al totale dei prestiti al di sotto della media italiana: 16,51% contro il 17,8%.
Dall’altro lato, l’istituto di Verona non è esattamente in splendida forma. Se è vero che entrambe le banche hanno dimensioni simili per capitalizzazione di Borsa, a guardare il valore complessivo dell’attivo, il numero degli sportelli e di dipendenti, Banco Popolare è decisamente di dimensioni maggiori. Il dato più rilevante però è quello relativo al problema più grave del sistema bancario italiano: il rapporto tra i crediti deteriorati e il totale dei prestiti, che per Banco Popolare si attesta molto sopra la media nazionale, ad un valore del 23,53%.
Questa delicata situazione ha portato la BCE a richiedere con fermezza un aumento di capitale di € 1 miliardo alla banca veronese, per poterla presentare al mercato al momento della fusione nelle condizioni migliori.
Banco Popolare |
Banca Popolare di Milano |
|
Capitalizzazione (€, in miliardi) |
2,5 |
3,3 |
Totale Attivo (€, in miliardi) | 123,3 | 49 |
Sportelli | 1780 | 706 |
Dipendenti | 17512 | 7750 |
Non Performing Loans/Prestiti Totali | 23,53% | 16,51% |
Dati: Factset
Complessivamente il totale delle sofferenze nette di BPM si attesta a € 1,5 miliardi, dato decisamente inferiore ai € 6,4 miliardi della banca veronese. Questo, in sede di fusione, ha avuto un peso determinante, andando ad assegnare alla proprietà della Popolare di Milano il 46% del futuro nuovo istituto, nonostante le dimensioni complessivamente maggiori del Banco Popolare. Si è trattato quindi di una fusione sostanzialmente alla pari.
L’agenzia di rating Moody’s ha espresso un parere favorevole sull’operazione: che, ritiene, “nel lungo termine condurrà a risparmi sui costi e una maggiore diversificazione” portando alla nascita del terzo gruppo bancario italiano per dimensione, dietro solo ad Intesa Sanpaolo e Unicredit. Il CET1 atteso del nuovo istituto bancario sarà circa del 13,7% (il valore medio del CET1 italiano è pari al 11,5%), per una quota di mercato nazionale dell’8% con 4 milioni di clienti e attivi per € 170 miliardi.
Le possibili sinergie potrebbero portare risparmi per circa il 10% dei costi complessivi, mentre risultano minori le eventuali sinergie sull’utile (il miglioramento dovrebbe essere approssimativamente pari all’1%); questo è un aspetto che il mercato potrebbe aver tenuto già in considerazione, almeno a giudicare dall’andamento recente delle due banche a Piazza Affari.
A livello di governance, il futuro Cda. sarà ripartito tra nove membri del Banco Popolare, sette della Banca Popolare di Milano e tre indipendenti. Al momento sono esclusi licenziamenti, come ha assicurato Pier Francesco Saviotti, amministratore delegato del Banco e futuro presidente del comitato esecutivo del nuovo istituto.
Il processo verso la nuova “Superpopolare” si concluderà entro il prossimo inverno: l’accelerazione è arrivata anche dalle parole del presidente del consiglio di vigilanza bancaria europea Danièle Nouy, che auspica di “procedere ora abbastanza velocemente”: i preparativi procedono e di “bravi di don Rodrigo”, almeno per ora, non se ne vedono.