I fatti salienti della settimana
Fed, il timone passa a Jerome Powell. Riunione senza colpi di scena, il 30 e 31 gennaio, per il Federal Open Market Committee (FOMC), il comitato di politica monetaria della Federal Reserve. La presidente uscente Janet Yellen lascia dopo un meeting in linea con le attese: target sui federal funds invariati fra l’1,25% e l’1,50% e riduzione di bilancio confermata.
Ora il timone passa a Jerome Powell: la prima riunione del FOMC da lui presieduta si terrà il 20 e 21 marzo. Ci si aspetta che in quell’occasione Powell attui il primo dei tre aumenti dei tassi annunciati dalla Fed per il 2018.
Ma la vera sorpresa potrebbe arrivare dall’inflazione: se nei prossimi mesi salisse più del previsto, la Fed sarebbe costretta a intervenire in maniera più incisiva.
Nessuna novità, invece, dal discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump al Congresso nella notte tra martedì e mercoledì (ora italiana).
Allarme sui rendimenti. Venerdì la Banca del Giappone ha comprato titoli di Stato nazionali annunciando al contempo l’intenzione di effettuare acquisti “illimitati” di bond governativi a lunga scadenza. Obiettivo, bloccare il rialzo dei rendimenti, saliti per via delle attese di un rientro degli stimoli all’economia.
Al via la stagione delle trimestrali. È giunto il tempo, per i gruppi quotati, di rendicontare al mercato i risultati del trimestre. Negli USA sotto i riflettori soprattutto i big tecnologici: numeri da record per Amazon e Apple, Facebook e Microsoft all’altezza delle aspettative.
In Europa Royal Dutch Shell ha pagato lo scotto di un quarto trimestre sotto le attese, mentre Novo Nordisk ha perso punti in scia alle dimissioni del chairman e a un profitto operativo meno brillante del previsto. Altre società, come Nokia, Roche e Unilever, hanno invece visto le loro quotazioni salire dopo i conti.
Grafico della settimana
Toh, si rivede la volatilità. L’indice VIX del Chicago Board Options Exchange, che misura la volatilità dei mercati azionari, è salito del 32% da inizio anno. Il MOVE Index of Treasuries di Bank of America Merrill Lynch, che invece dà conto della volatilità sull’obbligazionario, è aumentato del 24%. Non c’è due senza tre: l’indice Global FX Volatility di JP Morgan è cresciuto dell’8%. I tre principali indicatori di volatilità in rialzo, insomma.
Come si sono mossi i mercati
Azionari in calo. All’inizio della settimana i mercati asiatici sono saliti ai massimi da 10 anni, in scia al clima positivo alimentato dalla crescita globale e dagli utili societari. A seguire, il ripiegamento. Settimana difficile in particolare per l’azionario cinese.
Non solo Asia: l’indice MSCI All-Country World, che oltre all’MSCI Emerging Markets comprende l’MSCI World (l’indice globale sui Paesi sviluppati), ha archiviato gennaio con il peggiore calo registrato in due giornate consecutive dal settembre 2016. Nota a margine dagli States: l’indice S&P500 a gennaio ha fatto segnare il migliore avvio d’anno dal 1997, sebbene nel complesso la settimana sia terminata in calo.
Borse giù, governativi su. Mentre gli indici mondiali sono scesi, i rendimenti dei titoli di Stato sono risaliti un po’ dappertutto anche a seguito delle riunioni di politica monetaria di inizio anno, che non hanno escluso lo scenario di un ritorno in tempi più brevi del previsto a una linea un po’ meno accomodante.
All’inizio della settimana i rendimenti dei titoli di Stato tedeschi a 5 anni hanno superato lo 0% per la prima volta dal dicembre 2015. Da segnalare che un cambio di rotta della BCE comporterebbe un’uscita dal livello artificialmente basso dei rendimenti tedeschi e degli spread periferici.
Dall’altra parte dell’Atlantico, i rendimenti dei Treasury a 10 anni sono calati attorno alla metà della settimana, pur rimanendo vicini al livello più alto dall’aprile 2014, per poi risalire dopo che la Fed ha confermato i tre interventi di aumento dei tassi nel corso di quest’anno e comunicato di aspettarsi nel 2018 un incremento dell’inflazione, che nel medio termine dovrebbe stabilizzarsi intorno all’obiettivo del 2%.
Dollaro forte? Non tanto. Il dollaro è sceso dopo che il presidente Donald Trump ha pronunciato il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, invertendo poi la rotta all’inizio di febbraio, quando si è rafforzato contro la maggior parte delle principali valute. Tuttavia, la settimana si è chiusa con l’euro in ulteriore apprezzamento sulla divisa americana, a quota 1,25.
Petrolio sotto i 70. Il Brent ha archiviato la settimana sotto quota 70 dollari al barile, nonostante un tentativo di recupero sul finale condiviso dal WTI (66 dollari circa), in scia ai dati sulle scorte e ai nuovi record della produzione negli Stati Uniti, e in parte anche per la debolezza del dollaro.
Cripto-perdite. Al termine della settimana il Bitcoin è crollato sotto gli 8.500 dollari, il livello più basso dal 24 novembre secondo il prezzo consolidato di Bloomberg. Le monete rivali Ripple, Ether e Litecoin hanno perso almeno l’11%. Insomma, il difficile 2018 delle monete virtuali, almeno finora, sembra proseguire senza sconti.
In agenda
Ed ecco alcuni dei principali dati macroeconomici che saranno pubblicati nel corso della prossima settimana (fonte: Bloomberg).
Stati Uniti e Cina – Le cifre sono quasi speculari: -50,5 miliardi di dollari per gli Stati Uniti, +54,7 miliardi di dollari per la Cina. Sono gli ultimi dati noti sulla bilancia commerciale dei due Paesi, cui seguirà un duplice aggiornamento la prossima settimana. Negli USA l’appuntamento è il 6 febbraio, a Pechino il 7 del mese. Gli operatori si aspettano un importo sostanzialmente in linea con il precedente dalla Cina e un lieve peggioramento dagli Stati Uniti, con il disavanzo visto a -52,1 miliardi. Nota “tecnica”: il dato USA è aggiornato a dicembre, mentre quello cinese è riferito a gennaio.
Europa – Da segnalare tre eventi: la diffusione delle previsioni economiche aggiornate della Commissione europea mercoledì 7 febbraio, la pubblicazione del nuovo bollettino della BCE giovedì 8 e, sempre giovedì, la riunione di politica monetaria della Bank of England: gli operatori prevedono tassi fermi allo 0,5%.
Italia – PMI, vendite al dettaglio e produzione industriale i tre appuntamenti dell’agenda macroeconomica nazionale della prossima settimana.